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In gita sociale sul Banal Grande

Creato il 26 febbraio 2014 da Albertocapece

Comuni: Firenze; Renzi oltre un'ora in parco con fiorentiniAnna Lombroso per il Simplicissimus

Quanto daffare avrebbe oggi Hannah Arendt, pur facendo le doverose differenze tra crimini e delitti, assassini e farabutti.

Sarebbe davvero tentata da una puntuale indagine sul maligno successo di una personalità così banale appunto, così scarsamente dotata di qualità, che ambienteremmo più appropriatamente in un bar di paese a giocare a biliardino, da uno di quei debosciati di quartiere che poi si guadagnano la simpatia del prete spostando le sedie alla recita parrocchiale, da uno di quei bighelloni che racconta barzellette, fa i gestacci come Sordi ai lavoratori, che tanto a quei soldarelli per il sabato sera glieli dà papà.

Non a caso osservatori meno narcotizzati e più lontani da qui l’hanno definito “fiacco”, mentre la nostra stampa si affanna a attribuirgli, anche mediante risibili rilevazioni della percezione, qualità messianiche, caratteri da predicatore, indole alla indiscussa leadership grazie a un tenace dinamismo e a una irriducibile volontà di fare, espressa tramite fiumi verbali di comiziante.

Ieri mi sono divertita qui http://networkedblogs.com/U99B7  con una fenomenologia dell’uomo, così affine ad un idealtipo molto indagato, il suo primo sponsor, Mike Bongiorno, cui aggiungerei le coincidenze, grazie a un istinto allo spettacolo, con il Sordi, laddove presta il volto all’italiano “medio”: arrogante e lavativo, furbo e ignorante, prepotente e codardo, affaccendato a parole e scioperato nei fatti, maligno e  vigliacco, sbruffone e bugiardo. Ma anche patetico, sentimentale, emotivo q.b. come direbbe Masterchef, al bisogno, quando c’è da piangere su se stessi o quando si deve imbonire una massa anestetizzata da troppa tv e da molte perdite materiali e morali.

Così alla Camera nel mostrare con sfrontato sussiego il niente della sua scatola vuota, vuota di idee, di principi e di quattrini, ha dispiegato la sollecitazione di qualche suo suggeritore che ha fatto le scuole meglio di lui, magari quella di partito, scomodando come avrebbe raccomandato Gramsci i sentimenti, le passioni, che in politica dovrebbero rappresentare un motore di consenso potente e irrinunciabile. Parlando di figli – la nostra ricchezza – a rischio in edifici fatiscenti, di piccoli imprenditori che devono essere generosamente aiutati, di cittadini cui – ma pensa un po’ – ha rammentato che la politica è il più magnifico esercizio di servizio pubblico, preferendo pietas, affetti, beneficienza a solidarietà e coesione sociale.

Che tanto i quattrini non ci sono e il modo per trovarli è sempre lo stesso dei suoi più o meno illustri predecessori, svendere, liquidare, alienare quel che è nostro perché diventi dei soliti padroni tramite lui che si è messo al loro servizio.  E soprattutto, si, si è commosso su quella Europa nei cui confronti ha assunto i toni più aulici e più appassionati, perché resta il sogno di suo nonno e suo padre. che il suo sogno invece è restare in sella, fare lo sbruffoncello in patria e andare ginocchioni col cappello teso dai tiranni carolingi  a dire si si, uno quei cagnoloni che si vedono dondolare dal lunotto delle macchine degli italiani come lui, quelli che non mettono la cintura, non emettono la fattura, sperano che la semplificazione aiuti l’evasione, praticano la slealtà e la piccola illegalità come fosse una necessaria scorciatoia per la sopravvivenza. E che da un leader come lui traggono coraggio imitativo.

Il fatto è che è vero che ormai la tendenza è verso una politica occupata da partiti di leader o partiti proprietari. Ecco, l’unica forma di intelligenza che riconosco a Renzi è quella di aver aspirato a una integrazione: leader riconosciuto da meno di 3 milioni di elettori in una liturgia che lo ha visto preferire anche da appartenenti a schieramenti apparentemente opposti, segretario di un partito che non sa mai vincere, per entrare da socio di minoranza – ma solerte e ubbidiente in un partito proprietario – si è messo al servizio del padrone, che prima o poi cederà alla natura ora sbrigliata un giorno livellatrice, così da assicurarsi un avvenire da piccolo despota, manovrato da tiranni più cresciuti, sempre meno occulti, sempre più pervicaci e cinici.

Furbo furbo, certamente, ma non si fidi troppo, c’è chi è più furbo di lui, più addestrato al tradimento, più allenato al biliardino e alla guerra.

 


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