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In Grecia le esequie del riformismo

Creato il 03 marzo 2015 da Albertocapece

downloadPiù volte ho detto, riportando analoghe opinioni di persone ben più visibili del sottoscritto, che un fallimento di Tsipras in Grecia avrebbe significato la scomparsa della sinistra in Europa: la resa alle tesi e agli strumenti liberisti, l’avrebbe svuotata di senso e resa del tutto inutile agli occhi di chi vuole un cambiamento e non soltanto consolatorie e ingannevoli speranze. E adesso ci siamo: non so che strada prenderà Syriza e il governo di Atene una volta esaurito il rinvio, l’armistizio alle condizioni del nemico, ma non ci sono che due strade o una resa sostanziale a Bruxelles oppure un’uscita dall’euro.

Questo lo sanno tutti i protagonisti, anche se la chiarezza della divaricazione appare ancora oscura alle opinioni pubbliche: probabilmente Tsipras – Varoufakis, partendo da un sostanziale entrismo europeista, hanno pensato che Bruxelles e la Germania avrebbero finito per accettare una sostanziale trattativa sul debito per evitare una frattura drammatica della moneta unica e dell’unione continentale. Così non è stato perché questo avrebbe messo in crisi non solo e non  tanto una linea economica peraltro insensata, quanto la dogmatica politica del liberismo e la sua volontà di cancellazione delle conquiste di un secolo. Così al di là degli esiti della vicenda e dalla possibile variabile costituita dagli eventi geopolitici, una cosa è definitivamente chiara: la sinistra riformista, nel significato che essa è andata prendendo dagli anni ’80 in poi del secolo scorso non ha più senso. Così come non ha senso quel suo ultimo derivato da crisi, quell’altra europa nella cui inesistenza è inciampato Tsipras.

Gli obiettivi raggiunti in passato e in particolare nei primi tre decenni del dopoguerra furono possibili all’interno di una logica di capitalismo produttivo, nella divisione bipolare del mondo con una super potenza comunista, nella esistenza di forti tendenze radicali nella società. Successivamente, disgregatasi l’ Urss, apertesi le praterie asiatiche con il loro immenso tesoro lavoro a basso costo, trasformatosi il capitalismo in finanziario, frammentato il lavoro, era impossibile pensare a una società più eguale e solidale attraverso cambiamenti pensati dentro la logica di mercato. Così da Blair e Schroeder in poi  il riformismo è diventato conservatore nel senso che proprio nel migliore dei casi si è limitato a difendere l’esistente contro l’assalto della lotta di classe al contrario, ma senza riuscire ad immaginare nulla di alternativo e non volendolo nemmeno fare.

In un certo senso la vicenda della Grecia e di Tsipras esprimono pienamente e drammaticamente l’atto finale di questo processo, nel quale coincidono la consapevolezza di dover immaginare altro e nello stesso tempo l’enorme difficoltà ad uscire da un paradigma divenuto ormai la realtà tout court. Questo punto zero, come avrebbe detto Kierkegaard, coinvolge mutatis mutandis, sia l’intelligentia di palazzo priva di bussola, intenta ad alzare fumose bandiere bianche o a evocare il passato, che le opinioni pubbliche sottoposte a un salasso di realtà da parte dei media: rende i tedeschi ostili alla Grecia che vuol farsi pagare i debiti come se questo fosse la causa dei mini jobs o della caduta salariale e i Greci illusi di poterla scampare tenendosi però il talismano dell’euro. O gli italiani fiduciosi negli opposti e omonimi omuncoli che una volta avrebbero trovato posto solo nei nuovi mostri. O tutti quelli che si fanno menare per il naso dalle stime sul Pil.

Comunque vada a finire siamo alla fine del riformismo fin de siecle e dei suoi equivoci: sia la resa all’Europa della finanza, sia la scelta di uscire dalla moneta unica ne decreteranno la morte o per insufficienza cardiaca o per superamento lasciando il posto a nuove visioni della società. Si, forse è bene che la sinistra, già divisa in mille su Tsipras  ogni tanto muoia per nascere.


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