Siamo al quinto capitolo della nostra breve storia della politica repubblicana. Il consiglio per chi non ne abbia ancora avuta occasione è quello di trombare finché è in tempo, il più possibile. Chi arrivasse qui dopo aver letto il testo fin dal primo capitolo ha tutta la mia comprensione ma farebbe bene a prendere esempio dagli altri che non hanno perso tempo ed in questo momento stanno già trombando.
Abbiamo visto come l’atto di votare la dirigenza aziendale, grazie all’astuto sistema elettorale, non corrispondesse all’atto di sceglierla. Il pueblo partecipava allo show come comparsa volontaria, ininfluente e addirittura pagante. L’obiettivo reale dello spettacolo era la sua stessa messa in scena, non era il risultato delle urne ma l’atto illusorio di votare. Nell’ottica della Trimurti, il dato più importante delle tornate elettorali era l’affluenza ai seggi, indice del coinvolgimento della massa lavoratrice nell’illusione. Se operai, impiegati, segretarie, fattorini, manovali, ragionieri, autisti, elettricisti, meccanici, commercianti, agenti… insomma se la gente comune (il 99% degli italiani) avesse saputo che il suo voto non contava nulla, non sarebbe andata a votare. Se avesse saputo che dietro ai partiti non c’erano né ideologie né valori ma che c’era soltanto gente molto ricca che si spartiva un pò di potere, non sarebbe andata a votare. Se il pueblo avesse avuto chiara la situazione, ossia che non erano date prospettive differenti da quelle decise dai proprietari, non sarebbe andato a votare. Oltre a non andare a votare, se la gente comune avesse avuto idea di tutto questo, si sarebbe presumibilmente incazzata ed avrebbe quanto meno smesso di lavorare e di pagare le tasse.
Le tasse, ci ritorneremo forse un giorno, sono uno strumento geniale nelle mani della proprietà. Il lato comico dell’invenzione non è l’altezza della montagna di denaro raccolta dall’erario ogni anno, il paradosso è che quel denaro non serve assolutamente a nulla. Per ora ci preme sottolineare che le tasse assumono, tra le altre funzioni utili alla proprietà, anche quella di illudere le masse lavoratrici dell’esistenza di un costoso apparato dedicato a loro. Ci è ormai chiaro quanto la Trimurti tenesse a che gli operai non si accorgessero di essere solo una ‘forza lavoro’ la cui opinione era del tutto ininfluente, ma credessero di avere voce in capitolo sul proprio destino e su quello dell’azienda. Il Parlamento italiano era ed è dedicato a questo scopo.
A tal proposito torniamo alle origini della nostra azienda-Italia. Al termine del secondo conflitto mondiale la Trimurti scelse il sistema democratico repubblicano perché c’erano tre proprietari da mettere d’accordo, perché il momento storico era adatto e perché era la ragione per cui gli americani avevano fatto tutta quella strada. Gli Stati Uniti speravano di metter su una bella SPA ma si accorsero ben presto che, nonostante gli sforzi, si sarebbe potuta partorire al massimo una SRL. La democrazia americana era invece, per antonomasia, la Società Per Azioni meglio riuscita e per questo la più vincente del pianeta. Le monarchie assolute, per fare degli altri esempi, sono in genere assimilabili alle Ditte Individuali, le moderne monarchie costituzionali alle SAS, Società in Accomandita Semplice e via discorrendo.
Nella travagliata SRL italica che si credeva una cooperativa, l’ultimo quesito preliminare che si posero i proprietari fu: come facciamo a nominare noi l’apparato amministrativo (Camera, Senato, Ministri) facendo credere agli operai di averlo fatto loro? La soluzione fu trovata in un baleno, ne abbiamo già accennato: fu adottato un sistema elettorale proporzionale senza scelta del candidato. Il pueblo si sarebbe scannato intorno ad acronimi e sigle che poi i tre soci avrebbero riempito a piacimento, proporzionalmente al valore delle rispettive quote.
Possiamo ora lasciare la nostra “metafora aziendale” e tornare ad occuparci della storia repubblicana. Ci stiamo predisponendo all’analisi degli eventi che si svolsero tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90. L’Italia li subì come il resto del pianeta. Benché ad oggi ancora sottovalutata, quella stagione dell’umanità sarà probabilmente ricordata in futuro come il punto di svolta fra la fase adolescenziale e la fase matura del capitalismo, come l’incipit dell’ultimo capitolo del primo volume di quella che, ci auguriamo tutti, sia almeno una trilogia. In quegli anni – una data precisa sarebbe arbitraria – l’occidente capitalista entrò nella fase calante, nell’ultima tappa del processo auto-distruttivo dell’intero sistema. In un mondo che aveva fatto il callo alle (presunte) rivoluzioni dal basso, nel 1989 prese vita la prima rivoluzione pubblica dall’alto, silenziosa e devastante. Il momento che talune grandi famiglie attendevano da generazioni era arrivato. I grandi padroni sciolsero i propri legami dai confini nazionali, presero coscienza dell’estensione planetaria delle loro influenze, sul loro regno non tramontava mai il sole.Il popolo di ciascuno Stato, nel suo piccolo, potè osservare soltanto alcuni sintomi periferici di ciò che accadeva nel sistema nervoso centrale della civiltà, ignaro delle cause che li producevano. La fine della guerra fredda, celebrata dalla caduta del muro di Berlino senza un colpo di fucile e dalla costituzione dell’Unione Europea col misconosciuto ma osannato trattato di Maastricht, furono eventi che avrebbero lasciato un segno indelebile sul futuro dell’umanità. I padroni rimapparono la genetica del potere su scala planetaria mentre il popolo guardava altrove.