Siamo al nono ed ultimo capitolo della nostra breve storia della politica repubblicana. Il consiglio per chi non ne abbia ancora avuta occasione è quello di trombare il più possibile, il prima possibile. Chi arrivasse qui dopo aver letto il testo fin dal primo capitolo ha tutta la mia comprensione ma farebbe bene a prendere esempio da chi non ha perso tempo ed in questo momento è già in circonvallazione.
Giuliano Amato
Nel 1992 e 1993 i padroni nominarono alcuni governi tecnici. Tra questi, persino uno sfacciato gabinetto diretto da Giuliano Amato, il ‘numero 2’ del Partito Socialista di Craxi, proprio lui, il più eccellente imputato di Mani Pulite. Gli italiani si ritrovarono due socialisti protagonisti sia in tribunale che in parlamento, ma non raccolsero la provocazione.
Questi governi tecnici si occuparono della spoliazione del patrimonio dello Stato. I nuovi soci di maggioranza dell’azienda-Italia, i Banksters, non si accontentavano di controllare gran parte dell’amministrazione. I loro piani erano chiari già allora: ‘privatizzare’ più attività pubbliche possibili allo scopo di svuotare l’azienda dei suoi reparti migliori. Perché? Per ragioni di interesse, ovviamente. E’ Wall Street, baby. Ed è semplice nella sua crudezza.
Immagina di riuscire (qualsiasi mezzo è buono, non siamo qui a fare moralismi) ad ottenere le quote di controllo di un’azienda “A” che condividi con altri azionisti a te più o meno graditi. Hai l’occasione di vendere a prezzi stracciati ciò che c’è di buono di questa azienda “A” ad un altra azienda “B” che invece è tutta tua. Vendi a te stesso, per due lire, i pezzi pregiati (le infrastrutture e le attività più redditizie) e lasci quello che non ti interessa, compresi gli operai da spelare, agli altri soci che non sono in grado di opporsi alle tue voglie. E’ un affarone. Una bustarella lì, una poltrona là ed è fatta.
Lo fecero. Del grande bottino che in quegli anni passò di mano dallo Stato-Italia ad una qualche holding lussemburghese o caraibica mi preme ricordare con cordoglio la rete delle telecomunicazioni e – come non citarle – le autostrade. Decenni di volontà collettiva e di tasse se ne andarono con un clic ed una firmetta presidenziale.
D’altronde gli italiani avevano altro a cui pensare. La politica anzitutto (che non era mai stata tanto avvincente) e la destra e la sinistra e chi arrestano oggi e Antani, ovviamente, come fosse Antani. Dell’amministrazione dello Stato non c’era da preoccuparsi, tanto c’erano i “tecnici” a risolvere i problemi che quegli zozzoni dei politici avevano prodotto. I tecnici, come detto, svendevano un lotto dopo l’altro ai prestanome dei loro padroni mentre i media di massa si lavoravano l’opinione pubblica per prepararla all’entrata in scena del nuovo primo attore.
Nel breve periodo i Banksters si sarebbero presi la Banca d’Italia, la Telecom, Alitalia, le Poste e non mi dilungo, in cambio concessero le aule romane alle mafie come mai era accaduto prima di allora.
La discesa in campo di Prepuzio (mi perdonerà se, pur anziano, lo chiamo amichevolmente per nome ma mi è istintivamente simpatico) provocò l’ovazione delle tifoserie, non solo milaniste. D’altronde era merito suo e di Emilio Fede se l’italiano medio si era appassionato all’epurazione in atto alla corte di Milano. E furono anche le sue televisioni ad innestare nelle testoline dei telespettatori le nuove parole d’ordine della politica italiana: rinnovamento e bipolarismo. Meno tasse per tutti! Meno Stato! Privatizzazioni! Gli italiani ne furono entusiasti.
Ed anche i Banksters, ovviamente.
Insomma, quella che fino ad allora era stata la falange più opportunista e spregiudicata del panorama mafio-economico italiano – proprio la più sodale al caprone espiatorio di tutti i mali Bettino Craxi – si apprestava a diventare l’establishment del Paese.
A vent’anni da quei giorni, mi pare una valutazione assolutamente di buon senso sostenere, a bocce ferme, che:
“Chiunque, a cavallo di un’esperienza bacchettona come Tangentopoli, ha messo un intrallazzone mafiosello e puttaniere a presiedere il governo ha fatto davvero un bello scherzo a questa disgraziata nazione. Che sia stato un banchiere o il popolo turlupinato, di certo non ha contribuito a risolvere il problema della corruzione nell’amministrazione della cosa pubblica italiana.”
Anche volendo interpretare l’ascesa di Prepuzio Mussoloni come una conseguenza dell’opera della magistratura oppure come risultato di un’efficace propaganda mediatica e persino nell’ipotesi pittoresca che siano stati davvero gli elettori in pieno libero arbitrio a metterlo su quel seggiolone… in ogni caso, chiunque ce lo ha messo, ha fatto gli interessi proprio di quel cartello di banche extranazionali che a tutt’oggi regnano ancora sovrane su suolo italico.
Sono trascorsi diciassette anni, tra un Prepuzio e una Lasagna, poi ancora Prepuzio e ancora Lasagna e Antani, come se fosse Antani.