In Italia si è dimesso il pallone
Creato il 25 giugno 2014 da Marvigar4
No, caro Stefano Bizzotto [1], con la sconfitta e l’eliminazione della nazionale al primo turno dei mondiali brasiliani le lancette dell’orologio del calcio italiano non sono tornate indietro di cinquant’anni, ma di sessanta! Nelle edizioni ’62 e ’66 uscimmo subito in Cile e in Inghilterra, ma le squadre di club come l’Inter e il Milan si imponevano a livello internazionale, i giovani azzurri vincevano la medaglia di bronzo alle Olimpiadi del ’60, la stessa nazionale maggiore avrebbe conquistato l’Europeo del ’68 e si sarebbe fatta ammirare poco dopo nel ’70 in Messico sfiorando la conquista del titolo mondiale, battuta soltanto da un inarrivabile Brasile. Questa doppia disfatta consecutiva d’inizio XXI° secolo somiglia di più al calcio italiano degli anni ’50, appena uscito dalle rovine della guerra e dalla scomparsa del Torino, la squadra che aveva “camuffato” e nascosto la gravissima crisi generale del movimento calcistico italiano. La verità è che dopo la vittoria illusoria del 2006, a ridosso di Calciopoli, il crollo è stato verticale e facilmente prevedibile. Tutto parte dalla famigerata “sentenza Bosman” del 1995 [2] che ha letteralmente fatto perdere la bussola ai dirigenti dei club italiani, da allora smaniosi di acquistare miriadi di giocatori stranieri di dubbia qualità, rovinando i bilanci societari, mortificando i vivai nazionali, abbassando il livello tecnico del nostro campionato. La crisi economica ha fatto il resto. Il nostro calcio non ha più soldi, non è competitivo, il parco giocatori nostrano non può giocarsela alla pari con altre nazioni. La stessa cosa accadde più o meno negli anni ’50 e i risultati furono disastrosi (eliminazione al primo turno ai Mondiali del ’50 e ’54, mancata qualificazione a quelli del ’58). Ricordate l’invasione degli svedesi, dei danesi, dei sudamericani che in quel periodo sommersero le squadre italiane dopo il mondiale del 1950? Ricordate Achille Lauro e gli altri allegri presidenti dell’epoca? L’attuale profonda crisi di questo nostro calcio ricorda quella degli anni ’50, è la crisi dovuta ad un’assenza colpevole di politica di sviluppo, non è un caso che l’ultima generazione utile di giocatori italiani in grado di competere ad alti livelli sia nata negli anni ’70 e ’80, cioè prima della sentenza Bosman. La FIGC non ha fatto niente, non è intervenuta, le società hanno compiuto un autentico gioco al massacro del nostro calcio e quello che abbiamo visto in Brasile ne è la logica conseguenza. Gli errori commessi sessant’anni fa sono stati ripetuti pedissequamente. Se si eccettua Marco Verratti, l’unico vero talento giovane emerso da questa rovina, il resto è fuffa. Prandelli e Abete si sono dimessi, ma la verità è che in Italia il “pallone” si è dimesso da anni, rinunciando a costruire, a risanare una situazione scandalosa (ci siamo dimenticati che quattro anni fa la squadra campione d’Italia non ha fornito nemmeno un calciatore alla nazionale italiana?). Gettare la croce addosso a Balotelli è inutile e fuorviante, di questo nostro sfascio Balotelli è la prima vittima sacrificale, il capro espiatorio per occultare ancora una volta gli errori commessi nel recente passato.
Soluzioni? Si potrebbe ricorrere alla naturalizzazione dei giovani calciatori stranieri, soprattutto africani, che affollano le giovanili dei vari club, ma temo che questa non possa essere una soluzione praticabile visto il pressappochismo dei dirigenti nostrani. Forse l’unica soluzione è proprio quella di tornare indietro di cinquant’anni, di mettere mano al patrimonio calcistico nazionale come fu fatto negli anni ’60, quando si puntò sulle nuove leve facendole germogliare, maturare, giocare nei club, non costringendole a stare in panchina o ad espatriare per ottenere uno spazio vitale necessario e una possibilità di crescita. I vivai italiani producono tantissimi buoni giocatori che dal punto di vista tecnico si fermano subito dopo il ventesimo anno d’età e non evolvono. Un motivo ci sarà. Ricorrere a quei pochi oriundi come Gabriel Paletta o Thiago Motta è stata l’ultima spiaggia per non ammettere che da noi non si riesce più a creare un calciatore decente. La nuova Italia riparte da Verratti e da poco altro, se non spuntano e non si sviluppano altri talenti in grado di risollevare le sorti del nostro calcio dovremmo accettare l’idea di essere diventati un paese qualunque che vive di ricordi lontani e gloriosi.
mvg
[1] Telecronista Rai della partita Italia-Uruguay del 24/6/2014.
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