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In lode dell’impresa seria, innovativa, aperta, competitiva dove si forgiano valori positivi fondati sulla professionalità e sulla responsabilità

Creato il 02 gennaio 2015 da Libera E Forte @liberaeforte

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Pubblichiamo la Prefazione di Gianfranco Dioguardi al nuovo libro di Marco Vitale “L’IMPRESA RESPONSABILE – NELLE ANTICHE RADICI IL SUO FUTURO” edito dalle Edizioni Studio Domenicano (202 pagine – 15 euro – [email protected]). Invitiamo tutti i nostri numerosi lettori ad acquistarlo via internet e a promuoverlo fra amici e conoscenti, perché si tratta di un libro di grande importanza per capire le vere cause e le possibili soluzioni dei problemi economico-sociali odierni.

di Gianfranco Dioguardi

Un percorso articolato, complesso, esaustivo quello compiuto da Marco Vitale – grande leader, economista fortemente innovativo dotato di straordinaria personalità e intelligenza, che ora presenta questa “summa” del suo pensiero e delle sue riflessioni nate dalla costante ricerca intorno al concetto di “impresa”. Lo fa ripercorrendo la propria esistenza, che lo ha visto sin dagli esordi protagonista impegnato in un continuo approfondimento delle teorie imprenditoriali da lui poste sempre al vaglio di un’esperienza pratica, sviluppata attraverso molteplici consulenze svolte a favore di imprese generalmente operanti in ambiti internazionali. Un sapere, quello di Marco Vitale, le cui radici affondano in conoscenze manageriali maturate soprattutto in America – terra da lui molto amata – e però addomesticata subito dalla cultura umanistica europea influenzata in particolare dalla grande tradizione storica italiana.

La sua concezione dell’impresa rivive così la propria grande Storia, che ha origini antichissime, seguendo la lezione di Benedetto Croce, che insegnava a riguardare la Storia sempre come “Storia contemporanea”. Così Vitale è costantemente alla ricerca di antichi valori da riscoprire, che ripropone poi nella difficile e spesso drammatica nostra attualità per elaborare nuove importanti ipotesi utili ad affrontare le incognite del futuro con la fiducia di renderlo migliore.

Grazie alla sua variegata esperienza ha saputo consolidare una grande conquista intellettuale: la capacità di coniugare il sapere teorico con il fare pratico, ed è questo che gli ha consentito di fornire a imprenditori, già preparati ed esperti, importanti suggerimenti operativi trasformati poi in un vero e proprio insegnamento universitario, questa volta dedicato prevalentemente ai giovani.

In particolare, la costante verifica fra teoria e pratica quotidiana ha consentito a Vitale di percorrere il lungo percorso esistenziale elaborando una concezione assai articolata e innovativa dell’impresa, basata non su astratte teorie nate da idealizzazioni avulse dalla realtà – come spesso capita nella letteratura scientifica a questi argomenti dedicata – ma sempre su analisi molto concrete, riferite al contesto generale nel quale un’impresa è chiamata ad operare. Viene così a delinearsi una nuova visione di sintesi, che sa avvalersi dello scenario macroeconomico come costante riferimento per la migliore identificazione delle peculiari attività strategiche dell’impresa.

Emerge allora e si afferma, di Marco Vitale, anche la figura di straordinario economista capace di fornire acute e attualissime analisi, in particolare sulla crisi ormai endemica che dal 2008 imperversa su di un mondo globalizzato, determinando effetti ancora più nefasti nel nostro Paese, dove l’impresa è colpita da quelli che Vitale definisce i “due tsunami”. Da noi, infatti, gli infausti effetti economico-finanziari internazionali sono amplificati in senso negativo dalla “grave crisi istituzionale, politica, sociale e morale” unita al senso di “sgomento, demoralizzazione, paura” che è ormai profondamente diffuso tra la nostra gente. Dunque, una “crisi sistemica” che – riscontra amaramente Vitale – purtroppo molti economisti non hanno saputo interpretare correttamente, limitandosi a considerarla solo di tipo congiunturale. Una crisi le cui radici sono invece accuratamente analizzate in queste coinvolgenti e drammatiche pagine, dove Vitale spiega i problemi emersi ed emergenti dalla “finanziarizzazione dell’economia, della politica e del pensiero”.

Un fenomeno, questo, ormai troppo diffuso e quindi anche in grado di condizionare il modo di pensare in generale. Eppure, nel presentare la drammaticità della situazione, Vitale non dimentica il fondo positivo del suo carattere intimamente imprenditoriale; difatti si spinge immediatamente alla ricerca di possibili soluzioni. Lo fa con l’efficace metodo che gli è proprio: quello di riesaminare la storia per acquisire lezioni da trasferire all’attualità, ma non soltanto. Così, orienta le indicazioni della storia verso la concretezza operativa chiamando in causa antichi suggerimenti tratti dall’Economico di Senofonte per coniugarli con una saggezza contadina ancora più remota da lui scoperta in documenti redatti addirittura dagli antichi egizi. Quindi si rivolge ancora all’istituzione “impresa” invocandola, quasi, come elemento taumaturgico di grande potenzialità. Ed eccolo allora soffermarsi su Adriano Olivetti, che fu imprenditore illuminato, capace di inventare il futuro attraverso una “concezione dell’impresa e del lavoro che proviene dalla sua alta concezione della vita e della storia dell’uomo, delle sue radici culturali, civili e religiose”.

In chiusura di questo suo magistrale saggio-lezione Vitale, molto pragmaticamente, ricorda l’invocazione di Karl Popper: “Noi possiamo fare qualcosa per il futuro. Forse possiamo fare poco, ma ciò che possiamo fare, dobbiamo farlo”. E per questo l’attenzione massima la dedica proprio all’impresa intesa come fabbrica del futuro. Un’impresa che – ricordando il pensiero di Luciano Gallino – auspica “responsabile” e che studia seguendo il suo classico, consueto approccio per inquadrare “dalle sue antiche radici il suo futuro”, mai tuttavia dimenticando il contesto macroeconomico nel quale essa si trova a operare.

L’analisi imprenditoriale di Marco Vitale immagina una istituzione interpretata come pulsante, viva e vitale, e per questo focalizza in particolare il concetto di “spirito d’impresa” – ricercandone così l’elan vital, per mutuare il pensiero del filosofo francese Henri Bergson – ovvero lo slancio vitale capace di determinare una Evoluzione Creatrice (1907) che possa favorevolmente condizionare il futuro. Dunque, un’impresa “seria, innovativa, aperta, competitiva” vissuta come “luogo dove si forgiano i valori” che dovranno poi essere diffusi sia nel contesto interno, sia sul territorio e verso gli individui che quotidianamente lo vivono, come ancora oggi insegna l’indimenticabile lezione di Adriano Olivetti, già intuita da suo padre Camillo.

Una concezione che criticamente boccia le teorie definite “deliranti” basate sulla “massimizzazione del valore per gli azionisti”, mentre si concentra su un’impresa che può essere considerata tale “solo quando l’accumulazione del capitale è strumentale al progredire dell’accumulazione della conoscenza tecnologica (quale luogo privilegiato dell’innovazione, del dinamismo, della produttività) e al progredire dell’accumulazione della conoscenza organizzativa e della cultura del lavoro”.

Ecco emergere un altro tema fondamentale della sua ricerca, quel concetto di “cultura” oggi determinante per la definizione strategica dell’impresa-concetto, che Marco Vitale inquadra in una innovativa idea di nuovo Umanesimo.

L’impresa è allora chiamata a svolgere funzioni da me definite di “impresa enciclopedia” – con riferimento alla grande opera di Diderot e d’Alembert – per costruire nuove frontiere del sapere sia nel suo contesto interno sia all’esterno ponendosi – come nel 1989 scriveva Michel Crozier – “all’ascolto” del territorio, per quindi sviluppare un processo di educazione culturale su di esso e sui cittadini, che quotidianamente lo vivono. Un “ascolto” attraverso il quale forgiare una ricerca costantemente innovativa, che l’impresa deve essere in grado di mettere in atto per soddisfare le sempre nuove esigenze del mercato, evitando gli incombenti pericoli di precoce obsolescenza.

In queste sue illuminanti pagine Vitale ha poi modo di ricordare come “sino alla metà degli anni 70, l’impresa era, concettualmente e ideologicamente, sulla difensiva in tutto il mondo, esclusi gli Stati Uniti. Poi (…) l’impresa è stata riscoperta, anche come creatrice di valori positivi, da ampi settori della società, compresi quelli che l’avevano a lungo avversata”. Un fenomeno che purtroppo ha trovato poca fortuna in Italia, dove si continua ancora oggi con politiche e considerazioni punitive sulle istituzioni imprenditoriali e non solo, poiché – come afferma Vitale – la “riscoperta dell’impresa ha dato subito origine a nuove degenerazioni e strumentalizzazioni”, ma principalmente per endemiche contrapposizioni nei confronti di tutti coloro che si propongono come positivi interpreti dello sviluppo, della produzione di ricchezza per il Paese, di nuovi valori concreti da perseguire contro le negatività ispirate da una politica spesso inconcludente.

Anche per questo il libro di Marco Vitale rappresenta bene la complessa personalità dell’autore, che sempre si è polemicamente opposto alle correnti prassi, forte di una personalità molto combattiva, che ne contraddistingue il personalissimo carattere. Questo suo saggio riveste quindi una straordinaria importanza come insegnamento rivolto soprattutto ai giovani, interpreti oggi della posterità, ma che in breve tempo assumeranno ruoli da protagonisti della società civile. Un piccolo grande trattato, dunque, che appare proprio scritto “a futura memoria, se la memoria ha un futuro”, per mutuare il titolo emblematico di un importante libro di Leonardo Sciascia, il grande scrittore molto amato da Marco Vitale.


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