La mia giornata lavorativa contrattuale è di sette ore e mezzo più un'ora di pausa pranzo; in più lavoro a un'ora abbondante di viaggio da casa. Questo mi taglia fuori dalle pennichelle infrasettimanali e mi lascia un misero residuo nei fine settimana. Le mie pennichelle si svolgono rigorosamente a letto (mai riuscito a prendere sonno se non completamente sdraiato e coperto) e travalicano la misura classica estendendosi spesso per un'ora e mezzo, talvolta anche di più.
Nonostante queste indubbie manchevolezze mi ritengo un estimatore di questo nobile modo di trascorrere il tempo, che col sonno serale e notturno ha la stessa parentela di un pranzo gourmet col Cheeseburger Menu di Mac Donald.
Innanzitutto la pennichella è un modo sublime di procrastinare; e come ci insegna Jerome K. Jerome, "è impossibile godere a fondo l'ozio se non si ha una quantità di lavoro da fare". Le ore serali sono naturaliter consacrate al sonno; a metà giornata, anche il sabato o la domenica, uno ha spesso qualche cosa, cosetta, cosuccia da fare: ebbene, quale piacere più squisito di sapere che ci sarebbe questo o quello da fare e contemporaneamente sdraiarsi a letto?
E poi la pennichella ci offre l'altro condimento indispensabile di ogni piacere raffinato: quello della sua assoluta superfluità. Il sonno notturno è riposo che il nostro corpo e il nostro spirito ci richiedono ed è un richiamo che non permette di essere ignorato; quello pomeridiano è riposo di cui in fondo potremmo fare a meno, che ci concediamo magnanimamente in un atto di generosità verso noi stessi.
E infine: che dire delle altre delizie che la pennichella porta con sè, potremmo dire che implica? Dal lento ritorno allo stato di veglia, molto più graduale e prolungato che al mattino, al caffè (da prepararsi esclusivamente con la napoletana, chè la moka o peggio ancora i bibitoni caldi li lasciamo ai nordici, dai milanesi in su) che aspettiamo pazientemente scenda?
Diffidate di chi diffida della pennichella. Dicono che siano ore perdute: sono invece ore guadagnate perchè le sottraiamo liberamente al flusso della produttività per incastonarle nell'oro dell'otium.