Fino a quale abisso può portare la disperazione e la dipendenza da eroina? Ce lo racconta il New York Times. È una storia raccapricciante, ambientata tra gli eroinomani di alcune città africane. Ricercatori statunitensi hanno scoperto che i tossicodipendenti che non riescono a procurarsi la sostanza, per alleviare i sintomi dell’astinenza ma anche per provare piacere, si iniettano un po’ di sangue di chi si è appena bucato. La pratica, chiamata flashblood o anche flushblood, è stata riscontrata a Dar es Salam in Tanzania, a Mombasa in Kenia e a Zanzibar, ma si teme si stia diffondendo altrove. Fu osservata una prima volta cinque anni fa e descritta sul British Medical Journal; recentemente ne è stato pubblicato un resoconto dettagliato sulla rivista scientifica Addiction.
La maggior parte delle persone che adottano questa pratica è composta da donne. Alla base c’è spesso un gesto di altruismo: una donna che ha guadagnato abbastanza denaro, in genere con la prostituzione, da poter comprare una dose di eroina decide di dare un po’ del proprio sangue a un’altra, spesso una prostituta troppo vecchia o malata per trovare clienti, allo scopo di aiutarla a superare la crisi di astinenza.
Ci sono dubbi fondati riguardo alla possibilità che il sangue di qualcuno, anche che si sia appena bucato, dia a un’altra persona le sensazioni attese. Probabilmente pesa l’effetto placebo, anche perché la quantità corrisponde in genere a quella contenuta in un cucchiaino. Questo comunque impedisce il verificarsi dei danni solitamente associati alle trasfusioni con sangue di un tipo sbagliato: al massimo, quando vi sono, i sintomi spariscono in tempi brevi.
Quel che preoccupa, invece, è il ruolo che il flashblood può avere nella diffusione di HIV e delle epatiti non solo tra i tossicodipendenti, ma anche alla popolazione generale attraverso i clienti di chi si prostituisce.