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Sentendo avvicinarsi la morte, il grande Tiziano Terzani ci disse che al suo funerale avrebbe voluto che la gente ridesse. Forse anche noi dovremmo gioire perché Daniela è di sicuro in un mondo migliore del nostro, senza guerre e senza miseria. Se dunque ci capiterà invece di piangere, non sarà per lei ma per noi che restiamo senza di lei. Anche Daniela ha sentito avvicinarsi la morte, se non l’ha addirittura pianificata, come era suo costume perché nella sua visione del mondo niente doveva essere lasciato al caso. Il 4 di gennaio, rivolgendosi a una delle donne che l’accudivano nel momento più doloroso della sua malattia, le ha detto che le restavano ancora dieci giorni e poi sarebbe stata la fine della fine. Il 14 è stato il suo ultimo giorno di vita. Era anche il giorno del suo compleanno. Ha compiuto appena 59 anni: se n’è andata troppo presto, ma fortunatamente non all’improvviso.
E’ strano parlare di fortuna al termine di una lunga, dolorosa e difficile battaglia, l’unica che Daniela abbia mai perso perché era già persa in partenza. Ed è strano che ne parli proprio io, che ho seguito passo passo il suo calvario e ho patito il suo dolore, che è ciò che in un rapporto ciascuno si ripromette di evitare all’altro.
Ma il modo migliore di ricordarla e salutarla mi sembra proprio ripercorrere le molte fortune che abbiamo avuto, partendo da quest’ultima, il male che l’ha lentamente portata via ma l’ha anche forzata ad allontanarsi a poco a poco dagli affanni quotidiani, e con questi dall’insoddisfazione di fondo che è stata il propulsore della sua vita di inguaribile perfezionista. E le ha consentito per una volta di fermarsi, dandole il tempo di tracciare il bilancio della sua vita e scoprirsi, alla fine, una donna appunto fortunata.
Me lo ha detto e ripetuto negli ultimi mesi ogni volta che si riferiva con commossa e orgogliosa soddisfazione alla sua prima preoccupazione, la figlia in cui ha finalmente riconosciuto la grinta, la determinazione e il carattere che voleva in lei, e l’ha sentita avviata sulla strada di una piena e autonoma realizzazione. Voi che l’avete conosciuta sapete che non bastava essere figlie di Daniela per avere la sua approvazione, anzi.
E me lo ha detto e ripetuto pensando agli amici, che ha scoperto con la sorpresa di chi si è sempre sottostimata più numerosi e affezionati di quanto pensasse, e alla fortuna di avere abbracciato una professione bella, che come forse nessun’altra pone al centro i rapporti umani, che sono l’unica vera ricchezza che abbiamo. Perché alla fine il libro, cui ha dedicato la vita, altro non è che un rapporto tra persone, e perché come tutti noi che facciamo parte di quel mondo sappiamo, è la qualità dei rapporti tra di noi, la reciproca fiducia e stima, non l’interesse o le leggi o i contratti, quelli che regolano e muovono davvero la nostra attività.
Daniela e io abbiamo attraversato insieme un momento storico nato all’insegna della ribellione e la speranza in un mondo migliore, e che si è fatto invece sempre più duro e difficile, fino a vedere progressivamente affievolirsi i residui di solidarietà umana e dignità morale, e affermarsi sempre più un materialismo gretto e bieco, terra di egoismi, opportunismi e arrivismi, fino alla corruzione delle relazioni in nome dell’unico valore che rischia di rimanere, il peggiore, il denaro divinizzato.
In questo sempre più desolante panorama, ci siamo sentiti profondamente fortunati di essere riusciti a ritagliarci un piccolo spazio in quell’isola rimasta ancora civile e umana che è il mondo dei libri.
Un mondo che ci ha dato la possibilità di conoscere tante persone belle, per prime quelle che ci hanno aiutato a farvi parte stimolandoci e sostenendoci anche economicamente, senza la minima aspettativa di lucro ma mossi solo, credo, dall’istintivo e inconscio riconoscimento di una stessa passione, di identiche aspirazioni, di un sentire comune che è tanto difficile da definire quanto facile da riconoscere nell’altro.
Molti di voi conoscono la favola vera di due ragazzi senza mezzi né appoggi, partiti da Roma armati solo di ingenue speranze e la voglia di farcela, e approdati come in un sogno nel salotto buono dell’editoria, l’ufficio dell’indimenticabile Erich Linder, e sostenuti poi dall’appoggio disinteressato di Reiner Heumann, Bruce Hunter, Jacqueline Korn, Jane e David Cornwell, e sanno a chi è andata e sempre andrà in primo luogo la nostra gratitudine. Molte altre belle persone si sono però aggiunte nel tempo, e a loro sono egualmente grato. Persone ancora capaci di anteporre il sogno e perfino l’utopia all’interesse personale, persone che amano il proprio mestiere, rispettano il lavoro degli altri, sono prodighe di consigli e aiuti, conoscono la riconoscenza, o si dedicano con incredibile passione agli altri, come coloro che lei chiamava i suoi “angeli custodi” e l’hanno seguita, insieme alla sua cara Anetta, fino alla fine, evitandole inutili pene e sofferenze. E ancora, persone, e sono tante, che Daniela ha amato aiutare, consigliare, sostenere, stimolare, all’occorrenza consolare.
Ha visto giusto al termine della sua esistenza: siamo stati davvero due persone fortunate. Io in particolare per aver avuto in sorte addirittura più della già difficile da trovare “anima gemella”: una donna che, da sola, è riuscita a essermi al contempo amica, complice, sprone, socia, moglie e amante, e che mi ha lasciato le due cose più preziose che mi restano, il suo ricordo che mi accompagnerà per sempre e la figlia di cui anche lei alla fine andava apertamente orgogliosa.
Daniela, lo sapete, non era una persona facile. Ha sempre preteso molto dagli altri perché pretendeva di più in primo luogo da se stessa. Viverle accanto significava essere messi costantemente alla prova, perché ogni volta dovevi dimostrare di meritarlo. Difficile non ammettere che la sua caparbietà, la sua intransigenza, le sue intemperanze mi sono state spesso incomprensibili, come spesso è stato duro accettare le sue pretese e i suoi repentini cambi d’umore. Ma neppure per un momento ho pensato che avrei potuto fare a meno di lei, e alla fine un’altra bella persona, che ci aveva conosciuto poco e da poco, e a cui è bastato un breve colloquio per capirci entrambi perché credo che sappia davvero leggere in fondo all’anima, mi ha aperto gli occhi sulla verità che probabilmente avevo sempre saputo ma mai apertamente realizzato: che Daniela, con le sue ostinazioni e le sue spigolosità, non era una donna qualunque ma una donna che molti hanno definito speciale, e lui ha chiamato straordinaria, cioè non comune, unica, e che una donna straordinaria, speciale e unica non è mai come talvolta stupidamente noi vorremmo che fosse, ma solo come vuole lei, perché sa istintivamente vedere ciò che è bene per chi le sta intorno, e lo sa imporre anche a costo di soffrire: ho capito forse troppo tardi che Daniela era anche disposta a perdere le persone che più amava, a patire la loro incomprensione, piuttosto che tradire ciò che l’istinto le dettava. Era questa generosità d’animo, spinta fino al limite del sacrificio di sé e proiettata su tutti coloro che riteneva di dover proteggere e difendere, che ha fatto di Daniela anche la grande agente letteraria che è stata. Perché, come Linder, è stata anzitutto una grande, modesta persona.
Per tutto ciò io e sono certo anche Ginevra oggi non la piangiamo soltanto, ma la ringraziamo per averci consentito di esserle accanto.
C’è una musica di cui si era innamorata negli ultimi tempi, “March with Me”, e mi piace pensare che questo attaccamento quasi viscerale volesse essere un messaggio preciso. Vorrei perciò salutarla proprio con queste note, diventate per me l’ultimo invito e sprone della donna che ho amato e non so smettere di amare a continuare a marciare con lei sempre a fianco e come lei mi ha insegnato. La persona che ci ha fatto conoscere questa marcia della pace e verso un mondo migliore, in occasione di una presentazione che ha avuto la delicatezza di dedicare a lei assente perché già malata, ha invitato il pubblico a chiudere gli occhi ascoltandola. Io l’ho fatto, e lo farò di nuovo, sapendo che ora si arricchirà di un ulteriore significato: che noi che siamo qui, e i tanti che da lontano ci accompagnano, marciamo idealmente con lei, e non è sola in questo nuovo viaggio.
Luigi Bernabò
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