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In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.

Creato il 10 dicembre 2011 da Ambrogio Ponzi @lucecolore
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
3a Domenica di AVVENTO anno B Domenica “gaudete”
Vangelo  Gv 1, 6-8. 19-28
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
Dal vangelo secondo GiovanniVenne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
  • Parola del Signore
  • Non è superfluo pensare che Maria pregava con i salmi come fac­ciamo noi. In questa continuità di preghiera (la sua esperienza e la no­stra), Maria ci incoraggi, ci rafforzi, ci educhi.
  • Il messaggio di questa pagina è tutto legato ad una domanda e ad una risposta, domanda e risposta che valgono anche oggi, ma soprattutto la risposta.
La domanda è: «Tu, chi sei?» e la risposta è «No…non sono…» Ci troviamo di fronte ad una pagina dove le affermazioni sono legate ad una negazione. Giovanni ci dice che lui non è niente, e anche noi non siamo niente se non siamo quella cosa precisa. Il messaggio è che noi siamo chiamati ad essere. Essere cosa? Lo vediamo insieme. Suggerirei di affrontare il brano con l’ausilio di un’altra pagina sempre di Giovanni e che riguarda il Battista. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire”. È l’esempio dell’esperienza sponsale, dove un amico porta lo sposo all’incontro con la sposa e poi tende a scomparire. Il valore dell’amico sta nel favorire l’incontro, nel suo ritirarsi per la­sciare lo spazio allo sposo e alla sposa. Questo è il significato della presenza di Giovanni. Basterebbe per noi lasciare che questo messaggio si incida nella nostra memoria e nel nostro spirito. Chi siamo noi? Noi siamo coloro che vivono per Gesù. La nostra defini­zione è Gesù. Chi sei tu? Io sono un discepolo, un testimone di Gesù, l’amico dello Sposo, che fa di tutto perché lo Sposo sia conosciuto e riconosciuto come tale. Questo è il primo punto di riflessione. Allora è importante focalizzare questa immagine in un discorso più ra­gionato, offerto dal Vangelo, legato alla parola 'testimoniare'. Fin dall’inizio si dice: “Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce”. Chi è il testimone? Non è un discorso strano, ma vitale. Il testimone è uno che di per sé non è niente, è colui che è tutto dedito a ciò che testimonia, avvenimento o persona. Il testimone non dice cose sue, non afferma se stesso, ma afferma e parla dell’altro di cui egli è testimone. Anche nei fatti normali il testimone non porta una sua teoria, non ha un insegnamento da fare, non è un maestro, ma fa emergere persone o avvenimenti sconosciuti. Il testimone non porta niente di suo, anzi quando porta qualcosa di sé disturba la testi­monianza. Lo possiamo capire attraverso un esempio banale. Se io sono testimone di un incidente e dico quello che ho realmente visto, sono un testimone attendibile; se invece con la fantasia arricchisco il racconto, potrei essere un bravo scrittore, ma non sono un vero testimone. Il testimone dice quello che vede e niente di più. Questo vale anche per la testimonianza di Giovanni. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce ”. Questo uomo non è un pensatore o un politico anche bravissimo o uno scienziato, ma è uno che ha visto e che è in rapporto con una persona sconosciuta della quale ci vuole raccontare ciò che noi non sappiamo e soprattutto che quella persona sarà testimone della luce. Giovanni ci tiene a sottolineare che non è egli stesso la luce, ma che la luce esiste, perché ne ha avuto esperienza grazie alla missione a cui è stato chiamato. Lui è testimone di quella forza che lo ha mandato rag­giungendolo personalmente. Nella seconda parte c’è un dialogo prezioso che ci introduce nella spiri­tualità propria del Battista a cui fa riferimento il suo modo di vivere (che non è tanto da imitare nel rigore, ma nella nudità che esprime): niente è mio, ciò che vi dico mi è stato suggerito e lo faccio per mandato ricevuto. Questo dialogo è sempre legato a un 'no'. « Che cosa dici di te stesso? » «Io sono voce di uno che grida nel deserto» Io non sono 'parola', ma 'voce', perché dico qualcosa che non è mio, ma che mi è stato affidato e di cui vedo i segni e li proclamo. Questo 'sì' passa attraverso tanti 'no'. «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No» Cosa viene detto a noi cristiani oggi attraverso questa parola? Prima di tutto non dobbiamo mostrare la nostra bellezza, ammesso che ci sia, poi non dobbiamo pensare di essere qua per essere salutati e ap­prezzati. La misura della nostra fedeltà non è l’apprezzamento che ci viene dato. L’essenziale per il cristiano è poter dire: non sono io il Cristo, ma è Lui; non sono io il maestro, ma è Lui il Maestro; non sono io il pastore, ma Lui è il Pastore. Il nostro comportamento è quello di indicare Gesù, di farlo vedere attraverso la nostra fedeltà al Signore. Non importa che il testimone sia capace di imprese straordinarie o che faccia miracoli, l’essenziale è che rimandi a Gesù, altrimenti non possiamo parlare di te­stimonianza. Un padre della chiesa fa questo esempio sul martire: il martire di per sé è un testimone, e martirio vuol dire testimonianza. Ma se uno, dichiarato santo, nel quotidiano non è fedele al Signore, dob­biamo togliergli la corona di martire per metterla sulla testa di chi è te­stimone nel quotidiano. Questo vuol dire che non si tratta di fare qual­cosa di straordinario, di eroico una tantum, ma di essere nel quotidiano fedeli al riferimento che è Gesù, sia pubblicamente che nell’intimità della propria coscienza. Alla domanda: 'chi sono io?' devo poter rispondere sempre e comunque : 'io sono di Cristo'. Anche nel guardare alla chiesa dobbiamo innanzitutto vederla come colei che annuncia Gesù e considerarla come la via che porta a Gesù. L’immagine tradizionale del Battista lo mostra vestito con pelli di cam­melli, consumato dalla penitenza e in atto di indicare con l’indice della mano l’altro, cioè Gesù. Tutto il suo essere indica Gesù. La chiesa dovrebbe essere così e noi stessi siamo cristiani in quanto la­sciamo trasparire Gesù nella nostra vita. C’è un’altra espressione nel Vangelo di Giovanni in rapporto al Battista, dove si dice: “Egli deve crescere e io invece diminuire”. La grandezza del testimone è quella di dare evidenza alla sorgente della salvezza.
  • Questo messaggio è rafforzato da alcuni particolari: la voce e la parola, il Battesimo nell’acqua e il Battesimo dello Spirito. Tutto questo indica il carattere indicativo, ma non esaustivo della figura di Giovanni.
È un invito a rileggere il brano cercando sfumature come queste, perché sono educative.
  • Credo che la pastorale e il cammino di ciascuna persona debba seriamente e costantemente misurarsi con la centralità di Gesù. Questa è la misura ed il vero bene. Gesù diceva: anche se tutti parlassero bene di voi, non significa nulla al confronto con questa misura. Ciò non vuol dire disprezzare le cose buone che uno può fare, ma la nostra missione prioritaria è quella di indicare il Cristo come unico Salvatore.
  • Della vita di Giovanni Battista prima dell’inizio della sua predicazione non si dice nulla. Lui inizia con l’annuncio che sta per arrivare il Salvatore. Quando lo Spirito scende su di lui, inizia la sua missione e dà compimento al compito che gli è affidato.
Il deserto è il luogo dell’incontro con Dio e al tempo stesso luogo dove riceve la missione e luogo dove vive il suo mandato. Il suo riferirsi a Gesù dipende dal fatto che ha preso coscienza che lui è niente senza il riferimento. Il suo essere è obbedire al mandato che ha ricevuto. Con il Battista si avvia la fase dell’incarnazione. Lui indica Gesù e, quando scompare perché ucciso, inizia la predicazione di Gesù. Se badate bene, in questa fase è solo il Battista che parla, e non Gesù. Gesù comincia a predicare nel momento in cui il Battista viene eliminato, ucciso da Erode. Il Battista termina la sua missione con il martirio, che è il massimo della testimonianza. In quel momento si passa dalla promessa al compimento. Nel momento in cui Gesù, sia pure silenzioso, si presenta per essere battezzato dal Battista, il Padre interviene e parla e indica Gesù come Figlio. È un passaggio preciso, concreto e di intenso insegnamento per noi.
MESSAGGIO
Tutta la grandezza di Giovanni Battista sta nel suo progressivo farsi piccolo,
nel suo leale dichiararsi voce che rimanda alla Parola,
nel suo farsi da parte perché solo il Cristo sia il centro.
E questo non una volta tanto, con gesti clamorosi, ma nell’ esistenza di ogni giorno.

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