Magazine Attualità

In morte di un fotoreporter e di due soldati

Creato il 19 maggio 2010 da Milleorienti

Si chiamava Fabio Polenghi, aveva 45 anni, era un fotoreporter freelance che seguiva le turbolente vicende politiche in Thailandia. Si trovava, per lavoro, nell’accampamento delle “camicie rosse”, quelle migliaia di contadini e diseredati thailandesi che – a sostegno dell’ex premier Thaksin Shinawatra – si erano asserragliati in un campo vicino a un tempio buddhista nel cuore di Bangkok. Era un giornalista vero, Polenghi, di quelli che scrivono stando “in mezzo ai fatti”. E aveva preso le sue precauzioni: indossava un casco e un giubbotto antiproiettile. Ma questo non l’ha salvato dalla furia omicida dell’esercito thailandese, che di notte ha fatto irruzione nel campo uccidendo lui e altri cinque civili inermi. Ponendo così brutalmente fine alla protesta delle “camicie rosse”.

La morte di Polenghi ha suscitato in me le stesse emozioni di quelle provocate dalla morte di due nostri soldati in Afghanistan: il sergente magiore Massimiliano Ramadù, 33 anni, e il caporalmaggiore scelto Luigi Pascazio, 25 anni. Uccisi lunedì scorso da una bomba che ha devastato il loro autoblindo su una strada afghana. Le salme dei due alpini sono rientrate oggi in Italia. Mentre lotta per restare in vita la caporale Cristina Buonacucina, ferita nel medesimo attentato.

C’è un tempo per il lutto e un tempo per la riflessione politica.
Verrà il momento per riflettere sulla deriva thailandese, dove un anziano e venerato monarca assiste muto al massacro di una parte del suo popolo, e dove le camicie gialle e le camicie rosse si scontrano in nome di una democrazia sempre più lacerata, sempre più incapace di tutelare i diritti umani e di riconoscere il valore dell’unità nazionale.
Verrà il momento – presto – della riflessione politica sull’Afghanistan, dove tutto l’Occidente è disperatamente impegnato nella ricerca di una exit strategy ma si dibatte in un dilemma apparentemente irrisolvibile: dobbiamo andarcene da lì lasciando un Afghanistan capace di governare se stesso, ma in Afghanistan non sembrano esserci forze (non certo l’attuale governo, non certo l’attuale polizia) capaci di controllare il territorio ed evitare una nuova, sanguinosa guerra civile. (Da cui peraltro uscirebbero vittoriosi i talebani. Che forse ne usciranno vincitori IN OGNI CASO…)

Il tempo delle riflessioni politiche urge, ma oggi, per me, è il tempo della tristezza, senza retorica. Sono morte tre persone normali che cercavano di svolgere al meglio i propri lavori,  lavori rischiosi, diversi fra loro ma ugualmente di pubblica utilità. (Perché tutte le volte che la retorica populista oggi imperante parla di “giornalisti venduti” si dimentica quanti giornalisti nel mondo muoiono ogni anno svolgendo il proprio lavoro).
Onoriamo la loro memoria.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :