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In morte di un “operaio quarantunenne” che non aveva le ali

Creato il 09 gennaio 2011 da Radicalelibero

In morte di un “operaio quarantunenne” che non aveva le ali

Adesso proveranno a far credere in giro che il gesto è solo un caso sporadico, un’occasionale tracollo della salubrità mentale in una vita d’alto tenore. Adesso proveranno ad invocare l solito perbenismo di facciata, a mettere in campo la tediosa e riprovevole concertazione delle emozioni finché il silenzio attanaglierà di nuovo l’Ilva. Adesso qualcuno, da dietro, quatto quatto avvicinerà la tragedia per metterle il guinzaglio.

Perché non abbai oltre.

Nell’Italietta del perbenismo, in questa nave non più dantescamente ingovernabile, ma sin troppo governata, derubricheremo tutto alla questione domestica. Un operaio di nemmeno 41 anni, tarantino, è salito due notti fa sul tetto dello stabilimento ionico nell’Area Parchi ed ha provato a volare.

Forse le sue ali erano realmente troppo appesantite da una situazione familiare che colleghi ed inquirenti subito hanno considerato “intricata”. Forse si appurerà, semplicisticamente e semplicemente, che è nella casa, come spesso accade, la causa del dolore. Un pezzo d’ovatta che dovrebbe disinfettare i tagli dell’anima e che, al contrario, si appiccica fastidiosamente alla sanguinolenza ed obbliga ad altro dolore. Forse, alla fin fine della piccola storia che presto cadrà nel cestino della memoria si verrà a conoscenza che quel pietoso ispettore del lavoro giunto sul posto a cadavere già coperto dal lenzuolo bianco ha avuto ragione ad escludere mobbing e stress da lavoro.
Appunto, forse.

Forse invece sapremo ancora una volta che nella città prima in Italia ed in Europa per tumori, c’è qualcuno che non tollera il caldo asfissiante dell’altoforrno; scopriremo che “l’operaio quarantunenne” non avrebbe mai voluto essere considerato solo un “operaio quarantunenne”. Forse a lui semplicemente piaceva il mare. A Taranto ce ne sono due, di mari. Forse da quel tetto se ne sarà accorto prima di provare a librarsi in volo verso il selciato freddo. O forse già lo sapeva e non aveva più tempo per vederli, per immergervi, per nuotarvi. Forse non potendo più essere pesce ha provato a diventare uccello, grifone, drago.

Forse non era niente di tutto questo. Forse non ha mai nemmeno pensato di poterlo diventare. La libertà di fantasia è un lusso riservato ai bambini. E ai poeti. Non ad un operaio. La libertà in sé è un ardimento troppo grosso. Per riaverla indietro servirebbe una crociata, un assalto alla torre del padrone del tempo, alle ciminiere che sbuffano imperiose, ai reparti isolati come ali di castelli stregati. Servirebbero le armature più resistenti e brillanti. Talmente brillanti da brillare nel cuore della notte. Talmente potenti da resistere a quel male chiamato fabbrica.
L’“operaio quarantunenne” non ha fatto in tempo ad indossarla, l’armatura. Forse ha anche provato a calzarne una prima, troppo stretta. Ed una seconda, troppo ballerina. Alla fine, semplicemente, avrà propeso per la rinuncia, combattendo a modo suo.
Ma il pensiero va a chi resta. Ad i loro silenzi attoniti ed un tantino imbarazzati fra i fumi, le scintille, i muletti, i capelli schiacciati in faccia dal sudore. Nella speranza che, quanto prima, trovino la corazza giusta.

EDITORIALE STATO QUOTIDIANO: http://www.statoquotidiano.it/09/01/2011/loperaio-che-ha-provato-a-volare/40013/



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