Lasciarsi alle spalle l’inverno non vuol dire liberarsi
dell’odore pesante del fumo e della nebbia,
non vuol dire smetter di aver freddo.
Ma questa pioggia che oggi scende leggera
si fa fango trascinando con sè ciò che è stato
e in un rivoletto di melma grigiastra
ritrovo i sentieri che ho percorso,
scorgo nuovi passi nei miei passi.
Stazione Termini, in un impermeabile leggero,
ha un altro aspetto: esco fuori e, non so come, sento l’odore del mare.
A settembre non avevo occhi tanto grandi,
si erano rimpiccioliti nel sole di agosto,
strizzati dalla luce e dalle tante risate.
Ora specchiandomi in queste vetrine
li vedo grandi, liquidi,
affamati e affannati,
come provati dallo sforzo di aprirsi,
allargarsi per prendere la vita dalla vita,
per afferrare il buono che sfuggiva.
Cos’è che cercavo in quelle umide sere di novembre,
in quei gelidi pomeriggi di gennaio?
Forse l’estate dei miei pensieri.
Di quelli che non premevano sulle tempie
perchè dormivo nel sole.
Di quelli che in una mattina d’inizio aprile
finalmente sembrano sciogliersi nel sole ancora timido,
bagnando di speranza le mie scarpe nuove.