In questi giorni dovremmo vedere una svolta nell’accoglienza dei migranti che sbarcano sulle nostre coste: la macchina del Piano Junker per l’immigrazione è partita nei giorni scorsi. Tra le novità introdotte si è sentito parlare di "Hotspot".
Con il termine Hotspot si designano alcuni centri di accoglienza che in realtà già esistono - quindi, non verrà costruita o inaugurata alcuna nuova struttura.
Prima del 16 settembre erano chiamati Centri di Prima Accoglienza e Soccorso, abbreviati in CPSA. Questi centri avevano il compito di prestare le prime cure e identificare le persone, entro 48-72 ore.
Oltre le 72 ore i nuovi arrivati dovevano essere “catalogati”: se essi facevano parte dei cosiddetti "migranti economici" o se rifiutavano l’identificazione, venivano trasferiti in un Centro di Identificazione ed Espulsione; se al contrario erano classificati come richiedenti asilo (persone che potrebbero avere diritto alla protezione internazionale) venivano trasferiti nei Centri di Accoglienza (CDA) o nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA).
Bene: gli Hotspot funzioneranno nello stesso modo, ma con alcune differenze. Come nei CPSA, gli unici presenti al momento dell’identificazione saranno le forze dell’ordine, ma negli Hotspot non vi sarà solo la polizia italiana. A coadiuvare le operazioni vi sarà una sorta di polizia europea, l’Ufficio Europeo per l’Asilo e altre agenzie come Eurojust e la celeberrima Frontex (tutti organi che hanno a che fare con le forze di polizia, esattamente come avveniva prima del 16 settembre).
Sorprende, in verità, l’assenza di associazioni che si occupano di richiedenti asilo e rifugiati: esse non sono state previste, non si capisce se per dimenticanza o per una chiara volontà politica.
L’accesso e l'operatività delle agenzie del settore all’interno di queste strutture sarà affidato alla discrezionalità delle forze di polizia, le quali - oltre al loro compito ordinario e specificato, l’identificazione - si troveranno di fronte a gravi difficoltà e carenze nel momento in cui dovranno gestire gli arrivi, garantendo a tutti una sistemazione dignitosa e rispondente ai bisogni primari. Una situazione non proprio ottimale.
Infatti, fino ad oggi i CPSA non sono stati in grado in questi anni di fornire un’accoglienza dignitosa nemmeno quando i migranti erano donne, bambini o vittime di tortura (come riporta questo articolo).
All’interno dei CPSA, poi, il rispetto dei tempi di trattenimento ai fini dell’identificazione non sempre sono rispettati: anche se la detenzione oltre le 96 ore comporterebbe violazione della libertà personale (diritto inviolabile, secondo la Costituzione Italiana), sappiamo che la prassi è molto diversa - i casi sono molti e riguardano più strutture (qui un articolo a riguardo).
Dunque, le strutture sono le medesime e i cambiamenti effettuati sono quasi nulli: cosa ci fa pensare che queste strutture funzioneranno diversamente?
Niente, perché di cambiamenti sostanziali non ce ne saranno. E così, le molte domande poste da più pati negli ultimi sei mesi rimangono inevase: perchè non sono stati pensati strumenti completamente nuovi, visto che quelli già utilizzati hanno mostrato le loro lacune? Perché non è avvenuta un’integrazione tra l’intervento di polizia e quello delle associazioni? Perché si è scelto di rinunciare a un lavoro sinergico tra professionisti con mansioni differenti?
Soprattutto, perché è impossibile adottare misure straordinarie come permessi di soggiorno temporanei o visti di transito e favorire dunque la mobilità verso gli altri Stati Europei?
E infine, perché trattare persone come pacchi da un centro all’altro?
La risposta istituzionale a questi quesiti non è arrivata; in compenso ci siamo trovati dinnanzi all'ennesimo gioco delle tre carte. Cambiare il nome da Centro di Prima Accoglienza e Soccorso ad Hotspot è fumo negli occhi gettato in pasto all'opinione pubblica, un dire "stiamo facendo qualcosa". Hanno iniziato semplificando il nome: apprezziamo lo sforzo, ma non ci pare abbastanza.
Eleonora Ferraro
@twitTagli