ROMA – Si chiama inquantodonna.it e Gian Antonio Stella ne dà, sul Corriere della Sera del 19 Gennaio, una struggente quanto completa ed efficace presentazione.
Struggente. Perché inquantodonna.it non l’ennesimo sito di bellezza femminile, o moda, o salute. È invece un sito che Stella definisce come una vera e propria “banca dati” dell’orrore, e non sbaglia.
Inquantodonna.it ha infatti lo scopo, come si legge nella presentazione del sito, di “riunire ed osservare il fenomeno del femminicidio in Italia per come questo viene raccontato dagli organi di informazione”. Un progetto che non è certo nato in un giorno che ma è online addirittura dal lontano 1991.
23 anni di dolore, violenza, e assassinii subiti da donne che, nel sito, vengono ricordate. E il perché lo spiegano le curatrici: “In Quanto Donna è l’unica motivazione che accomuna tutte le storie delle donne uccise, o meglio: la fine delle loro storie. Oltre ad essere donne, infatti, spesso non le accomuna niente altro: alcune sono giovani, altre giovanissime, altre anziane. Sono bionde, more, rosse, castane, magre o grasse, laureate o semianalfabete, povere o ricchissime. Alcune hanno figli, qualcuna è incinta, altre no. Ma sono tutte donne e i loro assassini tutti uomini, e non uomini qualsiasi: sono i loro mariti, fidanzati, a volte padri, spesso ex. Che le hanno uccise, a bruciapelo, nel sonno, strangolandole o torturandole, facendole a pezzi, bruciandole o gettando il loro corpo in un burrone”.
Poi, il sito spiega di come la sua missione non sia quella di raccontare le loro storie, ma semplicemente di far vedere a tutti l’atrocità di quello che viene compiuto loro, perché “attraverso le parole di chi narra la vita e la morte di queste donne si capisce perché ogni giorno migliaia di donne in Italia rischino di finire in questo muro virtuale della memoria”.
Così, Gian Antonio Stella, ripercorre con una penna struggente la fine della vita di queste donne, scrivendo: “E toglie il fiato scorrere quelle immagini di una quotidianità brutalmente interrotta: Elena con un vaso di fiori, Maria Silvana con lo zainetto in montagna, Giulia col vestito da sposa, Anna con un cappellino di paglia, Ilaria che brinda con un calice di prosecco, Lia che coccola il figlioletto nella culla… E fermano il fiato le didascalie che sintetizzano le tragedie da approfondire con un clic: «Emiliana Femiano, 25 anni, estetista. Massacrata con un numero indefinibile di coltellate (almeno 66 di cui 20 al cuore) dall’ex fidanzato che già l’aveva accoltellata un anno prima». «Mirella La Palombara, 43 anni, operaia. Uccisa con dodici colpi di pistola dal marito». «Alice Acquarone, 46 anni, dipendente di una mensa scolastica, mamma. Uccisa dal compagno che le ha fracassato il cranio con una chiave inglese, ha poi avvolto il corpo in un tappeto e lo ha gettato nel cortile condominiale»”.
E poi, ovviamente, ci sono anche i “lui”. Coloro che hanno dato fine alla vita di amanti, fidanzate, sorelle, amiche, colleghe… Salvatore Parolisi, Mario Albanese, sono forse alcuni dei più noti ma di certo non gli unici.
Emanuela Valente, curatrice del sito, scrive di come il “motivo” di fondo che porta questi uomini ad uccidere le donne converge sempre in un’unica direzione: l’essere convinti di essere proprietari della vita delle donne. E, con rammarico, scrive di come invece “i mass media cercano altrove le ragioni di un inaccettabile costume sociale: la gelosia non è insano possesso e aggravante, piuttosto debolezza dell’uomo. È il comportamento della donna ad essere messo sotto la lampada dell’ispettore” e ancora “Dell’uomo solitamente si elencano le normalità, per porre in risalto l’imprevedibilità del folle gesto”.
Ma che, ammonisce, tanto folle (né imprevedibile) è.