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In quelle giornate un po' così

Creato il 10 febbraio 2011 da Andima
Poi esci dall'ufficio in una di quelle giornate un po' così in cui gli occhi sentono come non mai il peso delle palpebre ed il collo quello della testa che penzola all'ingiù come se tutti i pensieri accumulati si fossero squilibrati verso la fronte, abbandonati inevitabilmente alla gravità vorace. Prendi la metro senza opporre troppa resistenza agli urti di chi corre entrando appena prima dello squillo stridulo che annuncia la chiusura automatica del portellone e butti il corpo in un angolo nella speranza d'esser solo anche se gli altri poi son lì, a qualche centimetro di distanza, nel vagone che sembra un treno di deportati.
Ad una delle fermate intermedie entra il solito musicista pronto a diffondere qualche nota nella speranza di spiccioli, lo riconosci subito, è uno degli abitudinari, chissà quante volte gli avrai già dato qualcosa, ma in quelle giornate un po' così non doveva, no, non doveva proprio iniziare quella melodia, la riconosci subito, è il tema del Padrino, che magari in altre giornate non ti avrebbe fatto nessun effetto ma in quelle giornate un po' così sembra proprio la colonna sonora perfetta del tuo umore un po' così e non è giusto, le musiche hanno certi effetti nascosti e probabilmente ieri ne saresti stato immune ma oggi no, non in quelle giornate un po' così. E allora ti butta ancor più giù quel suono triste e ripetitivo e ti risuona nella testa anche quando esci dalla metro ed ecco che Bruxelles ti piove addosso proprio quando sei uscito senza ombrello. Ingenuo. Dopo tre giorni di sole non avresti dovuto credergli, saresti dovuto uscire con l'ombrello come al solito e invece no, proprio in quelle giornate un po' così capita sempre d'averlo lasciato a casa e allora ogni goccia cade sulla testa passiva che però non vorresti bagnare mentre devi far in fretta, devi quasi correre che son già le 17:40, il negozio dove hai lasciato dei pantaloni da far accorciare chiude alle 18:00, e mentre corri fissi l'orologio in modo ossessivo e già sai che quella corsa ti farà sudare ed odi dover sudare, soprattutto in quelle giornate un po' così, perché il sudore è bastardo, lascia traccie un po' ovunque, soprattutto sul colletto della camicia e non c'è modo, non c'è soluzione, per quanto tu possa strofinarlo prima di metterlo in lavatrice non esce mai bianco come prima, mai come quando lo strofinava la mamma, le mamme sanno come fare, le mamme hanno poteri magici, li hanno acquisiti con gli anni, con gli sforzi, con il loro sudore hanno compreso come sconfiggere il sudore del colletto della camicia e tu invece no, non ancora, ne dovrai strofinare ancora tanti di colletti prima di riuscire a raggiungere certi livelli.
E mentre un occhio all'orologio, un pensiero alla mamma, un altro alla camicia e l'altro ai pantaloni, ecco che di sfuggita alla tua destra vedi una signora, vai avanti, ti fermi, l'hai riconosciuta, è lei, la signora del negozio, ma sono le 17:50, avrà chiuso prima e tu hai fatto troppo tardi e allora non hai scelta, in quelle giornate un po' così devi trovare la forza di fermarla e allora le urli "Madame!". Lei si ferma, si volta, non ti riconosce, ovviamente (perché avrebbe mai dovuto?), ti guarda con degli occhi stanchi in attesa di qualcosa e allora con il tuo francese da inizio quarto livello di scuola serale le spieghi che avevi lasciato dei pantaloni una settimana fa, da accorciare, tre, sarebbe mica un problema tornare indietro, riaprire il negozio, soltanto un attimo?
La signora non ti guarda neanche, si volta automaticamente con un "Va bene, non è grave" rispondendo alle tue scuse per il disturbo, ripetute, quasi fastidiose. Quando entrate nel negozio ti accorgi di quanto sporco sia, di quanta polvere e grigio ci sia intorno, di quanto vecchia sia la struttura e le cose intorno. Non ci avevi fatto caso una settimana prima, quando andavi di fretta, mentre adesso che sei lì, in attesa che la signora torni dall'altra camera con i tuoi pantaloni, tre, da accorciare, ti guardi intorno, in quelle giornate un po' così e ti accorgi di altri dettagli, in quel negozietto di una immigrata di quelle invisibili, di quelle che mandano avanti l'economia ma non meritano premi, di quelle che avran fatto sicuramente tanti sacrifici per aprire e mantenere un'attività che adesso ti sembra polverosa, vecchia, triste eppure sarà tutto quel che ha e tu invece, tu emigrato a Bruxelles con la carta di credito nel portafogli e la laurea sul curriculum, tu che sei andato in quel negozietto perché non troppo lontano da casa ma anche perché gli altri, più centrali, più nuovi e lussuosi, son sicuramente anche più cari, tu che fino a pochi minuti prima ti saresti lamentato per la musica suonata al momento sbagliato, per una pioggia che in fondo era sottile e trascurabile, per un sudore che alla fine devi strofinare, ci vuole, è scuola di vita, altrimenti le tue mani non diventano mani di mamma, mani di fatica, e non iniziano a funzionare davvero, ecco tu ti senti quasi in colpa d'esserti sentito in una di quelle giornate un po' così.
Paghi i 24 euro e la signora ti ringrazia, ti regala un sorriso da quel volto quasi apatico e ti ringrazia perché per quel disturbo, quei 10 minuti in più di lavoro, ha guadagnato qualcosa in più e non c'è bisogno di scusarti ancora, lo ripeto, sembri quasi fastidioso, prendi i tuoi pantaloni, tre, da accorciare, accorciati, e lasciala andare.
Appena esci fuori dal negozio non ti senti più in una di quelle giornate un po' così, quasi pensi d'esser stato stronzo a sentirti in una di quelle giornate un po' così e la pioggia, adesso, la guardi con gli occhi e non con la testa, alzi il collo perché la fronte non pesa più e apri bene gli occhi perché le palpebre son più leggere ora e fissi il cielo, sono le 18:10, c'è ancora un po' di luce lassù, si chiama sole, c'era anche prima, solo che non lo vedevi, non lo vedevi perché pensavi di sentirti in una di quelle giornate un po' così.

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