Dal convegno ragusano dedicato, la relazione introduttiva di Giovanni Occhipinti. Questo convegno, voluto da emeriti Enti organizzatori di cultura, è una rivisitazione delle opere dello scultore e grafico Nunzio Di Pasquale e una pagina di storia che appartiene alla nostra città; ma è allo stesso tempo un incontro con Nunzio, oggi, qui, nelle sue opere, tra gli amici che gli furono accanto, seguendone le difficoltà, le tensioni, gli scoramenti e poi i passi, sempre più certi, e le falcate; con gli amici che lo stimarono e gli vollero bene e che ora condividono e plaudono all’iniziativa che vede riuniti attorno al progetto, curato dall’architetto Valentina Vono, con foto di Vincenzo Giompaolo, insieme al comitato Festeggiamenti Patronali, con Monsignor Carmelo Tidona e il pittore Fabrizio Occhipinti, il Centro Servizi Culturali, il Centro Studi Feliciano Rossitto, il Gruppo Mario Gori, il Meic, Insieme in Città, l’Uciim, presieduti e diretti, rispettivamente da Nino Cirnigliaro, Giorgio Chessari, Emanuele Schembari, Elisa Di Pasquale, Giorgio Flaccavento, Roberto Piccitto.
Dieci anni fa lo scultore Nunzio Di Pasquale abbandonava la scena terrena nello stupore degli amici che lo stimavano e ne apprezzavano l’arte.
Stupore, sì, anche se era noto, tra gli intimi, l’enfisema che ne minava la salute e che lentamente e inesorabilmente ne andava decretando la fine. Per sua natura Nunzio si abbandonava all’indolenza e ciò gli faceva sottovalutare i problemi di salute che pure lo affliggevano. Preferiva dedicare il suo tempo alle grafiche e alle sculture piuttosto che a se stesso, rimandando a un giorno indefinito le cure di cui aveva urgente bisogno. Anche nell’approssimarsi della fine nascose agli amici l’urgenza di un intervento che potesse almeno circoscrivere il male, limitandone i danni, così da allontanare gli effetti di una diagnosi che lui sapeva essere infausta.
Continuava a lavorare, negli ultimi tempi, aiutato dal fedele collaboratore Pietro Maltese.
A scuoterlo fu un malessere intenso e improvviso. Ebbe appena il tempo di rivelarlo in Pronto Soccorso. Poi fu tardi e ne condussero il corpo in obitorio.
Alla sua volontà di artista aveva potuto piegare, secondo una sua propria idea estetica, il legno, l’argilla, la pietra, la cera, il rame, il bronzo, restando però indifeso e impotente di fronte al progredire di un enfisema che ne aveva a lungo insidiato il cuore.
In vita, amò e impresse nello sviluppo verticale delle sue figure, l’anelito verso l’alto, quegli stessi spazi che cercò di raggiungere collocando, in essi, sfere e strutture ruotanti, secondo quanto accadeva già con la scienza spaziale che aveva concesso al russo Gagarin il privilegio e l’orgoglio di orbitare col suo Sputnik attorno alla terra. Nunzio era affascinato da questi eventi che comportavano il rischio dell’avventura e attraverso i quali già rifletteva sull’opportunità di accostarsi a grandi scultori come i fratelli Pomodoro e il concittadino, milanese di adozione, Carmelo Cappello, il quale elevava al cielo orbite ruotanti. E proprio con lui si confrontò, sperimentando i segreti di un’arte dapprima prossima all’artigianalità del lavoro compositivo, rispetto alla più raffinata, e “industriale”, arte di Cappello, col quale condivise la figura dell’acrobata che sembrava ritagliata dallo spazio o immersa simbioticamente in esso. Mi riferisco, qui, principalmente, alla “preistoria” dell’arte di Di Pasquale, che seppe spingersi oltre il calligrafismo delle sue prime figurine, quasi apparizioni magiche, o singolari epifanie, tracciate sul rame come a evocare sogni negati (ma mai repressi), o insieme fuse a esprimere per un verso il fenomeno di massa, che già allora (anni Sessanta) veniva definendosi, e per l’altro il bisogno di comunicare. In quest’altro caso, egli concepisce composizioni in tutto tondo, affidandosi all’effetto delle rappresentazioni volumetriche, particolarmente nelle sue “cosmografie”, che allora furono considerate delle vere e proprie novità, anche se non prive di qualche giovane incertezza che però viveva, in vitro, l’incisività e la chiarezza di una “poetica”, per quei tempi, fascinosa e intrigante. Mostrava, insomma, una sua ben precisa novità che, particolarmente a Ragusa, incuriosiva gli estimatori dell’artista e dell’arte tout-court.
Di poche e misurate parole, Nunzio doveva conoscere a fondo l’interlocutore e sentirsi appagato nel proprio bisogno di sicurezza per infrangere il muro di silenzio che spesso frapponeva fra sé e il mondo circostante, con un deciso atto di volontà che rischiava di rasentare la diffidenza. Umile e complesso, in lui convivevano aspetti contrastanti, che ne evidenziavano la natura fragile e schiva, lirica e contemplativa, ma anche risentita e dolente.
Tutto questo animò sempre la poetica della sua arte. Si innamorava delle sue ballerine, delle pattinatrici, delle tuffatrici, delle trapeziste, figurine aeree e voluttuose, o verticalizzate e filiformi, irrigidite e attraversate da brividi giacomettiani, che sbalzava sul rame e sull’argento, vivendo, nel suo “Studio d’Arte 260”, momenti di incantato innamoramento e di lirica liberazione dei sentimenti, che -ahimè – erano anche di mestizia e di solitudine, espressi dall’intensità di un linguaggio plastico che fu unicamente suo.
Uomo senza neanche essere passato per l’infanzia e l’adolescenza, visse momenti travagliati sotto l’aspetto affettivo e esistenziale e dovette cimentarsi, già in età scolare, in attività e mestieri che poi giovarono alla sua arte: tra l’altro, esercitò l’incisione su legno per realizzare motivi e decorazioni un tempo cari ai “maestri carrettieri” del ragusano, e l’arte del ritoccatore-fotografo, oltre che, più tardi – ma finalmente!- la professione del disegnatore tecnico presso il Comune di Ragusa, città che mai abbandonò, come invece avvenne per Cappello, Fiume, Greco, Guccione, Guttuso, che violarono il mito dello Stretto.
Ciò frenò, in certo senso, la sua ricerca artistica, deprivandolo dei promettenti orizzonti dell’Arte nazionale ed europea e di quegli stimoli, movimenti e correnti che spingono a orientamenti e ricerche più consapevoli, anche se le opere di questo eccellente maestro, particolarmente quelle nelle quali riesce a isolare l’orbita, materializzandola nel volume delle sfere e dei cerchi (li ammiriamo, tra l’altro, nella sua e nostra Ragusa, a Marina di Ragusa, a Santa Croce Camerina), viaggiano per Gallerie nazionali e internazionali: Monza, Milano, Roma, Padova, Pisa, Genova, Venezia, Palermo, Messina; Parigi, Londra, Dubrovnik. E’ in questa fase che Nunzio lavora alacremente, passando dal rame al bronzo all’alluminio, senza per questo abbandonare la plasticità delle forme e della figura, che si rivelavano nella fervida capacità del disegnatore e ritrattista: ne sono prova Autoritratti, Gli spaccapietre, Carrettiere, Siesta; e ancora: carri, sentieri, paesaggi agresti, animali, casolari, alberi.
Nunzio Di Pasquale suscitò l’interesse di scrittori e critici d’arte di rilievo nazionale: da Giorgio Bàrberi Squarotti a Ugo Fasolo, da Giuseppe Zagarrio a Francesco Carbone a Aldo Gerbino; da Luciano Marziano a Maria Poma Basile, Domenico Cara, Giancarlo Pandini, Luigi Tallarico; e, tra i gli intellettuali locali, Emanuele Schembari, Enzo Leopardi, Emanuele Mandarà, Carmelo Arezzo, Filippo Garofalo.
Ricordarlo, non vuole dire soltanto sottolinearne l’eccellenza e i meriti, ma sottolineare anche i meriti degli intellettuali e delle Istituzioni della sua città, insomma di coloro che oggi lo hanno voluto vivo, nel fulgore della sua Arte.
Featured image, gonfalone città di Ragusa.
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