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Qualche anno prima, egli aveva presentato in Senato un disegno di legge di “Noa carta de Logu”, adattamento alla Sardegna dell'avanzatissimo statuto catalano, poi ripreso e presentato in Consiglio regionale dall'ex presidente della Regione, Mario Floris. Ma non ne fu geloso: sostenne la proposta del Comitato che aveva sì colto la sua provocazione, ma aveva preferito scrivere una cosa nuova, non mutuata da esperienze estere, per avanzate che fossero. Cossiga, a differenza di altri frequentatori della politica italiana (e, ahimè, sarda) sapeva benissimo le differenza che c'è fra i concetti di Nazione e di Stato. E pur essendo stato presidente della Repubblica italiana ed essendo rimasto convinto assertore della sua unità, sapeva che l'esistenza di diverse nazioni all'interno dello Stato non confliggeva con l'unità della sua Repubblica.
Certo, la cultura politica non si acquista sui banchi di un supermercato ed è difficile appropriarsene, soprattutto se non si vuole farlo e se ne temono le conseguenze. Raccontano le cronache dei disperati e periodici tentativi di Cossiga di convincere deputati e sanatori sardi ad essere autonomi prima di essere autonomisti e di metter mano ad un progetto di Statuto all'altezza della Sardegna. Qualcuno, Massidda del Pdl e Cabras del Pd, ci hanno provato, il primo facendo propria la proposta di Nuovo statuto del Comitato, il secondo con una timidissima e réfoulée proposta di riforma, ma vivaddio articolata e scritta.
A metà del prossimo mese, il Consiglio regionale comincerà a ragionare intorno ad una mozione del Partito sardo sull'indipendenza della Sardegna. Una occasione, comunque la si pensi, per cominciare con anni e anni di ritardo un cammino che si troverà fra i piedi un paio di cose inquietanti: una sentenza della Corte dell'Aja che considera legale la dichiarazione unilaterale di indipendenza e i decreti attuativi del cosiddetto federalismo fiscale. E si troverà davanti a un bivio: ingoiare quel che Calderoli e i suoi hanno apparecchiato o apparecchiare un tavolo nuovo.
Purtroppo, secondo quanto esce dalle segrete stanze, gli uni guardano con diffidenza le proposte degli altri e gli altri obiettano che non si può discutere su testi già articolati. L'eterna vicenda delle classi dirigenti sarde, incapaci di un minimo di unità se non sulle emergenze dettate dagli altri, una lettura banale e volgare della “costante resistenziale”, un modo di essere che scatta per resistere e si affloscia quando si tratta di pensare a che cosa fare. L'allora minoranza (il centrodestra appoggiò e se ne fece garante) la proposta del Comitato per lo Statuto; diventata maggioranza l'ha messa in un cantuccio, dimostrando ancora una volta che quanto si fa stando all'opposizione non va più tanto bene quando si governa.
Oggi quasi tutti incensano Francesco Cossiga e qualcuno persino ricorda il suo desiderio di vedere approvata una nuova carta costituzionale della sua terra. Detto fra noi, ho la netta sensazione che egli avesse bene in mente come solo forti autonomie (nel caso della Sardegna, solo quote molto ampie di sovranità nazionale) potessero garantire l'unità della Repubblica, altrimenti destinata a finire. Ma temo che, sepolto e, fra una decina di giorni dimenticato, Cossiga, la nostra politica riuscirà prima o poi a regalarci uno Statuto vecchio riverniciato a nuovo. Troverà coraggioso e al limite della temerarietà definire Nazione la Sardegna, tanto, poi, ci penserà lo Stato e ripianare debiti e a riparare i danni fatti da scelte avventate. In fondo la capisco: si sente assolutamente incapace di governare una Sardegna dotata di sovranità. È molto più rassicurante dipendere dai Berlusconi e/o dai Bersani, bravissimi gli uni e gli altri nel farsi carico delle insufficienze culturali e della pavidità di chi proclama il proprio autonomismo senza obbligo di autonomia.
Siat ite si siat, bae cun Deus, Frantzi'.
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