Magazine Attualità

In ricordo di Piero Gobetti.

Creato il 15 febbraio 2013 da Basil7

di Beniamino Franceschini

da FANPAGE, 15 febbraio 2013

Il 15 febbraio 1926, a 25 anni, morì Piero Gobetti, esule in Francia braccato dalla violenza fascista. In suo onore, un breve ricordo di poche righe sul valore del suo pensiero e sull’eredità drammaticamente attuale che Gobetti ci ha donato.

Immaginate un ragazzo di 25 anni, in tutto simile a noi. Il fisico esile, le spalle strette, il naso sottile, i capelli scarruffati, gli occhiali da intellettuale. Pensate a quel compagno del liceo che a vedersi sembrava fragile, timido, sempre educato. Questo, secondo le testimonianze dell’epoca, era Piero Gobetti. Eppure, egli era molto di più: era un genio italiano, un pensatore lucido, così acutamente intelligente che le sue idee e affermazioni talvolta risultavano spigolose, acuminate, capaci di arrivare dritte al cuore e trafiggerlo, di far torcere lo stomaco, avvampare il viso e scatenare una risposta scomposta. Gobetti diceva la verità, tentando di sollevare le coscienze: quando qualcuno lancia affermazioni corrispondenti alla realtà e si scaglia contro gli assonnati, la reazione è sempre vigorosa, ma volgare, sia per autodifesa, sia per lesa maestà, sia per ipocrisia.

A 25 anni Piero aveva già scritto decine tra saggi, articoli e libri, fondando riviste e case editrici. Era torinese e come i torinesi aveva l’aria sfuggente, il profilo rapido, lo sguardo un po’ triste e vago, un po’ profondo e penetrante. Gobetti fu un fiero avversario del fascismo, lo combatté in quanto «governo che si merita un’Italia di disoccupati e di parassiti ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali», situazione che sarebbe potuta cambiare solo con «una rivoluzione integrale, dell’economia come delle coscienze». L’oggetto dei suoi attacchi, però, fu anche «il mussolinismo [...] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza».

Erano gli anni Venti e Gobetti parlava apertamente della necessità di una Rivoluzione Liberale, un termine ossimorico (ormai deturpato) che racchiudeva un concetto elevato, un’elaborazione profondamente critica e al contempo costruttiva. La libertà era l’anelito ultimo di Gobetti: ampliare a tutto il popolo i princìpi del liberalismo, ossia i valori della libertà concretata nella vita di ogni giorno e coordinata all’eguaglianza quale ispirazione imprescindibile, con la conseguente necessità della lotta al «patto scellerato» (per dirla con Salvemini e Gramsci) tra gli industriali del Nord e i possidenti del Sud, ai sistemi elettorali maggioritari, al fisco iniquo proteso a vantaggio dei più abbienti. In sostanza, una sollecitazione potente all’Italia e, ancor prima, agli italiani e alle coscienze intorpidite del nostro Paese.

Gobetti divenne per i fascisti un nemico della patria, poiché egli riuscì a elaborare un pensiero vibrante, originale, a tutto campo. Le sue iniziative editoriali furono soppresse. Piero fu più volte vittima di violenze fisiche che ne minarono profondamente lo stato di salute. Nonostante ciò, non fuggì. Per quasi tre anni subì le brutalità di chi sperava che la sua resa fosse prova delle accuse di villania mosse a suo carico. Alla fine, il 6 febbraio 1926, Gobetti, salutato alla stazione di Genova da Eugenio Montale, si portò in Francia, con l’intenzione di continuare a scrivere godendo di una maggiore libertà e di una vicinanza ulteriore ai veri liberali d’Europa. Non fu così. Il suo fisico esile non resse e dieci giorni dopo, il 15 febbraio 1926, Piero morì. Il silenzio e l’oblìo che tuttora perdurano riguardo alla sua figura sono paralleli agli scellerati patti che continuano in Itala, agli esempi di parassitismo, alla ricerca dell’uguaglianza forzata in quanto scudo dietro al quale nascondere banalità e ipocrisie, alla mancanza di «conservatori e rivoluzionari» che ha reso il nostro Paese «la patria naturale del costume demagogico». E ormai la Rivoluzione Liberale è una contesa elettorale volgarizzata e priva di contenuti.

Beniamino Franceschini

In ricordo di Piero Gobetti.

La versione originale dell’articolo può essere letta qui: In ricordo di Piero Gobetti.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :