Il gruppo jihadista dell’Is (il Califfato) ha messo in rete (il giorno 16 dicembre) le fotografie di tredici iracheni decapitati nella provincia di Salahuddin, perché accusati di essere loro ostili.
Nelle ultime settimane sempre i suoi uomini hanno ancora una volta decapitato nel nord del Paese decine di ex appartenenti alla polizia irachena.
E, in un altro video diffuso, è stata mostrata la scena raccapricciante di bambini che scherniscono un cadavere di un militare siriano decapitato e appeso a un muro.
Nel filmato si mostra prima l’uccisione del soldato, accusato di essere un miscredente perché membro della comunità alawita, e poi i cinque ragazzini che ne deridono il corpo senza vita.
Nel frattempo, sul piano politico, la minaccia costituita dall’Is sembra aver portato a un cambio di strategia dell’Unione europea, finora avversa al Governo di Damasco e a quello di Teheran, principale alleato nell’area della Siria.
Così almeno gli osservatori hanno valutato il comunicato emesso al termine della riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue, tenutosi a Bruxelles lo stesso giorno.
Nel testo, infatti, i ministri dichiaravano sostegno al piano messo a punto dall’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, per arrivare al cessate il fuoco locali sui fronti siriani tra forze governative e milizie di opposizione, a cominciare da Aleppo.
Questo è quanto avviene nei piani alti dei palazzi della politica, in Europa.
Contemporaneamente è di conforto per l’uomo della strada sapere di come, intorno a una reale quanto terribile minaccia qual’ è l’Is per il mondo intero, si possa tornare indietro a riflettere e a decidere in maniera differente dal prima.
Ma nei piani bassi, cioè in quelle che sono le singole realtà nazionali (Paesi europei dell’Unione e la stessa Italia), quali provvedimenti potranno essere presi perché al Califfato possa essere messo, con adeguate serie modalità, un fermo e, finalmente, definitivo “alt” ?
Intanto se ne comincia a parlare in più ambienti, e questo è già cosa buona. E’ il segnale che un cambiamento è possibile.
Per di più un suggerimento intelligente ci è venuto, giorni addietro, da un’iraniana illustre, già premio Nobel nel 2003, convenuta a Roma per il summit dei premi Nobel della Pace.
Lo stesso incontro, cui ha partecipato anche la giovanissima pakistana Malala, che tutti ormai conoscono e che ha commosso il pubblico con le terribili verità circa l’inferno, che vivono nel quotidiano i suoi coetanei in Pakistan.
Shirin Ebadi, la “nostra” motivatrice, prima dell’esilio a Londra e negli Stati Uniti, persona che di necessità si sposta attualmente sotto scorta, era, quando viveva nella sua Teheran, anni fa, un giudice donna molto apprezzato.
Ma con l’arrivo dei “barbuti” in Iran all’improvviso cambia tutto. Cominciando dal banale, ma non troppo, obbligo di portare il velo.
Oggi lei, Shirin, fuori dall’Iran, è una donna moderna come tante, a cominciare dall’abbigliamento, con la differenza che sta continuando, sia pure lontana dal suo Paese, quella che lei considera una battaglia indispensabile per sconfiggere il fondamentalismo islamico .
Una barbarie inaspettata, che è piombata tra capo e collo alla gente, in contesti di antiche e di apprezzate civiltà millenarie.
Il fondamentalismo- dice l’Ebadi - deve essere letto come un’ideologia. In quanto- sottolinea- non c’è niente di peggio, sotto qualunque cielo e in qualunque epoca, delle ideologie.
Esse ottundono le menti e fanno commettere, ai portatori di presunte verità, gesti assurdi e insensati, come è dato apprendere poi dalla storia del passato o leggere, oggi, nelle cronache quotidiane.
I talebani rozzi, ignoranti, invasati, pregni all’inverosimile di falsa dottrina, ne sono ai nostri giorni l’esemplificazione.
Che si faccia ricorso alle armi, anche le più sofisticate, per combattere il nemico da parte dell’Occidente è solo l’utilizzo di un deterrente immediato, indispensabile sul momento, ma che non garantisce nulla nei tempi lunghi.
Mentre- continua- bisogna tenere presente soprattutto la piaga dell’analfabetismo oggi molto diffuso proprio nei contesti mediorientali (Siria,Iraq,Iran Libano,Pakistan,Afghanistan, etc ...) e le macroscopiche diseguaglianze sociali , che sono presenti.
Ecco che come ci s’impegna per finanziare imprese in quegli stessi luoghi, imprese che poi consentiranno agli investitori la realizzazione di ottimi profitti, perché non provare- suggerisce l’Ebadi- a fare altrettanto nel campo dell’istruzione ?
Essere istruiti è libertà tanto al maschile che al femminile.
E le donne poi, in particolare, per sottrarsi agli orrori degli jihadisti ma anche dei loro padri, fratelli e mariti sovente oscurantisti, ne hanno più bisogno degli uomini.
Infatti, per scendere su di un terreno concreto, giacché il rispetto dei diritti umani in molte parti del pianete è divenuto merce rara, Shirin Ebadi ha intenzione di aprire, presto, uno studio legale in cui praticare da avvocato la difesa, appunto, di quei cittadini i cui diritti, in beffa alla legge, sono impunemente calpestati.
Non sarà un’impresa facile esercitare questo genere di avvocatura ma non bisogna avere paura quando si sa distinguere il giusto dall’ingiusto.
Da un lato ci sono situazioni umane, bisognose di solidarietà, che non possono più aspettare e che cominciano a essere troppe.
Dall’altro uccisioni e rapimenti, purtroppo a ripetizione, messi in atto in nome di un Islam, che niente ha a che spartire con gli insegnamenti del Profeta e con quanto è scritto nel Corano.
Ecco, allora, che tutti, consapevoli, devono impegnarsi a sconfessare platealmente certe falsità. Smascherare cioè i giochi politici. Denunciare. E non stancarsi di farlo.
Cominciando dagli stessi musulmani,quelli che vivono il nostro tempo senza occhi bendati. Sarebbero senz’altro loro i maggiormente credibili.
E poi il resto delle comunità, che li affianca, quelle costituite da persone prive di pregiudizi, anche appartenenti a differenti confessioni religiose.
Sconfiggere il Califfato è impegno improrogabile di tutti, pena la decadenza definitiva di ogni umana pietà, che contraddistingue la persona dalla bestia.
La sfida, in poche parole, è quella di riuscire a costruire assieme,come umanità, comunità capaci di guardare nella direzione di ciò che non esiste ancora ma che potrà essere.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)