Quarto appuntamento con la rubrica di Romina ed i suoi film metafisici. Stavolta siamo addirittura al cinema estone, 2003
Il film è disponibile nel tubo
Questo è un film sulla guerra e mostra campi di battaglia interiori dai quali non si farà ritorno, ma non è evitabile, è una guerra necessaria e la vittoria è ritrovarsi.
Mi sono lasciata intrigare dal titolo, Somnambuul, una parola estone che non ha neanche bisogno di traduzione e che suona così musicale, sprigiona una sorta di magia sia nel pronunciarla che nello scriverla. Se penso in italiano, ''sonnambulo'', o ''sonnambulismo'' li sento termini maledettamente limitati a un freddo campo medico, a un disturbo del sonno, non mi basta, voglio pensare a Somnambul come a un qualcosa di astratto e profondo da poter estendere ad un piano più vasto.
Quando ero ragazzina e vedevo un mio cuginetto che mentre dormiva si alzava in piedi sul letto e ''chiacchierava'' da solo biascicando parole senza senso mi chiedevo che cosa stava succedendo e quale arcano potere avesse avuto, è da lì che nacque il mio interesse verso i sogni e il mondo dell'onirico, ma soprattutto mi incominciai a fare domande sul sonno e la veglia, su quanto la realtà che viviamo condiziona il sogno e viceversa.
Questo è un film che non potevo non amare fin dal primo fotogramma, con tutti quei richiami tarkovskiani, con quella fotografia a tinte pastello alternata a colori cupi, con quei piani lenti sui paesaggi, tramonti, mare, nebbie . Mi sono trovata di fronte a un dramma metafisico e surreale di cui proverò a scrivere.
Siamo in Estonia, nell'autunno del 1944, considerato l'anno non c'è bisogno di spiegare in che situazione storica ci troviamo, migliaia di persone decidono di lasciare il paese per paura del fronte, i villaggi sul mare rimangono quasi completamente vuoti .Ed è proprio in riva al mare che incontriamo Eetla, una ragazza un po' matta dalla carnagione pallida e gli occhi chiari, la vediamo proprio mentre lascia andare l'ultima barca, autoimpedendosi così ogni possibilità di fuga. Eetla vuole restare lì nella pioggia fredda di settembre, in quel piccolo angolo di mondo che sembra spazio infinito. C'è anche suo padre, guardiano del faro, con Eetla, e ci sono anche un paio di personaggi (un medico, un soldato) che per un po' invadono quello spazio, per poi sparire.
Fuori da quello spazio infinito c'è la guerra vera, quella combattuta con le armi da fuoco, ma è lontanissima.
« Assuesce unus esse », scrisse s. Ambrogio: abituati ad essere uno solo. Ma per unificare il sè c'è bisogno di conoscere gli strati profondi della coscienza, c'è bisogno di scavare molto. Ecco perchè Eetla torna al faro, per incontrarsi e ritrovarsi. Fuori dal villaggio non c'è nessuno ad aspettarla, tanto vale lasciar naufragare la barca, l'ultimo appiglio per scappare verso la Svezia, fuori dal villaggio c'è la guerra ma a lei non interessa perchè ne sta combattendo una ben più importante, in quel posto dimenticato c'è lei stessa ad aspettarsi e questo basta. Eetla non ha paura della realtà e sembra non contemplare il futuro, vuole solo rifugiarsi nei suoi sogni, nei suoi ricordi tragici, nelle sue urla disperate contro il mare. Sembra recitare una parte mentre racconta i suoi sogni al padre, al giovane medico o a Kasper, un rifugiato, sembra con i suoi racconti voler mantenere una sorta di equilibrio tra il sogno e la veglia, confonderli, passato e presente, mescolarli. E noi restiamo spiazzati da tutto questo ma ci lasciamo travolgere, a un certo punto durante la visione mi sono arresa alla potenza surreale delle immagini e dei dialoghi, sicura che una sola visione non può bastare. I monologhi della protagonista sono più avvicinabili a una dimensione teatrale che al cinema, anzi direi più a una dimensione reale della vita quotidiana, quante volte ci succede di raccontare i nostri sogni a qualcuno, e notare che l'altro a un certo punto non ci segue più, è una discesa obbligata, la nostra e quella di Eetla, verso il monologo interiore. Assistiamo dunque alla realtà che apre varchi in un cinema del sogno.
E' il primo lungometraggio che vedo di Sulev Keedus, ''Somnambuul'' è un film indefinibile che piacerà sicuramente a chi ama un certo cinema dell'est, ci sono le atmosfere sbiadite di sokurov, simbologie Tarkvoskiane e tanta spiritualità. Lo spirituale lo si trova risplendere negli scenari naturali, è nel paesaggio che possiamo riconoscere una chiave di lettura: la natura è l'equilibrio e in essa si confondono i personaggi, la natura è sveglia ed è affamata, visto che poi alla fine li inghiotte tutti.
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In Search of Visions, Sublimazioni di Realtà (N°4): Somnambuul
Creato il 28 gennaio 2015 da Giuseppe ArmelliniPotrebbero interessarti anche :