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Allora mi giro sul fianco sinistro e guardo le luci della collina, le tegole dure di terracotta, la cupola del duomo nuovo. Cerco di allontanare il pensiero, pesante, di lui sopra di me punzecchiando chi mi è accanto, per punirmi chiedendogli delle donne che ha avuto durante la nostra lontana lontananza.
Poi finisco per stupirmi stupidamente ogni volta che sento quante donne concedano tranquille le nobili terga, forse perché io amo prenderlo in quel posto solo sotto metafora.
Penso di essere contenta di avere questa persona vicino e frustrata di non esserlo abbastanza. Penso che non dovrei pensare. Non dovrei pensare al solletico che fanno dei baffi folti sulle guance, alla morbidezza di un bacio che, unico in mezzo a mille baci, sa prendere perfettamente la forma delle tue labbra, avvolgerle di caldo e sorprenderle cambiando posizione così, in armonico sincrono.
Ecco il momento in cui devo alzarmi per respirare meglio, il freddo delle piastrelle di cotto sotto i piedi, sedere sul divano a giocare con i chiaroscuri della città assonnata. A pensare… ai baci attesi, scelti e insperati; a quelli infantilmente subiti e archiviati in modo sbrigativo.
Li ho tutti in mente ma gli unici che restano sono i loro, come ombre cinesi su questo muro stuccato male. Uno è dolce, quanto mai ne ho assaggiati, e ha i fuochi d’artificio alle spalle: sono stati sempre fuochi d’artificio, da quella sera di agosto all’osservatorio, qualche anno fa.
Lo sento respirare più forte, mentre si volta nel letto.
L’altro è un’immagine dai colori rossastri di un film, sono labbra che si fronteggiano respirandosi, e si trovano e si lasciano ad ogni inspirazione ed espirazione.
L’uomo con cui ho creduto (credo?) nel futuro e quello con cui ho sperato (e mai creduto) in un presente, seppur effimero.
La sicurezza, i forti legami, la famiglia dalla quale fuggo da una vita. Lui che forse è quello di noi due che ama di più, ma non è quello che starebbe peggio se ci perdessimo.
E, di contro, il disimpegno, l’attrazione, il trasformarsi in quel che non sono per cercare di afferrare quel che volevo.
Voglio.
Vorrei.
La sveglia mi riporta al nunc, alla pipì, alle occhiaie allo specchio, a preparare la colazione; che poi quando mette tutti quei biscotti nel latte mi fa anche un po’ schifo e invece farei meglio a preoccuparmi di celare le mie insonnie dietro a motivi così validi che non chiedano ragione. Infatti non me ne chiede ragione, mai.
Ma intanto è sceso e mi bacia leggero le labbra, come sempre alla mattina: e il bacio del buongiorno è il più bello, perché il buio non è mai altrettanto lontano, durante la giornata.
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