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Vallèe, dopo l'esperienza semi-autobiografica di "C.R.A.Z.Y", che perdeva molto della sua efficacia e del suo messaggio con scivoloni di sceneggiatura, passa al film in costume. L'elemento comunicativo non è predominante, la descrizione non enfatica. All'apparenza, non c'è molto del regista nella storia della Regina per eccellenza, colei che ha speso più tempo a capo di una monarchia, bypassando politici, leggi, dame, acclamazioni e proteste, dolori e gioie, nascite difficoltose e precoci lutti. Vittoria non ha il piglio di chi conduce ai suoi piedi il mondo, non ha la forza della guerra, nè il potere assoluto sui suoi sudditti. E' una Regina, ma di tale onoreficienza non conserva che scettro e corona. E' quanto di più antitetico all'aggressività mascolina della più energica Elizabeth, ma quanto di più vicino all'umanità moderna, turbata ed affranta. Se Cate Blanchett gioca, con grande ardore e scaltrezza, la carta della virulenza fisica e della forza decisionale della cinica Elisabetta, nel dittico (finora) di Kapur, unica gemma di un parto ridicolo, Emily Blunt si indirizza su una chiave diversa. Guardando in successione le sequenze si può notare, tolta qualche asprezza, una certa facilita recitativa. In realtà, il lavoro è molto sottile.
Il momento del Valzer. Lo sguardo di Emily sembra quasi rapito, del tutto immerso nell'intimità della situazione. Il mondo circostante è volutamente dilatato. E' l'amore perfetto, quell'amore in cui crede, e che porterà felicità immensa nella sua vita.
Una delle inquadrature più forti. Conroy dall'altra parte. Il volto di Emily è sprezzante, ferito nell'intimo.
Costretta a rigide imposizioni sin dalla più tenera età, per preservare il suo ruolo di futura Regina, era, nell'intenzione di Conroy, amministratore delle Finanze, una pedina da manovrare. Emily, bravissima, in grado di esprimere la rabbia di una bambina, che ritorna tale, dinanzi al suo aguzzino, e non riesce a mediare l'emozione di base.
Frame fantastico, si comunica un senso di pacificazione e di tenerezza. E' anche un esercizio di stile. Emily Blunt appare nella sua naturalezza ed oppone alla bellezza perfetta l'imperfezione del carisma e della particolarità.
Osservando i frames, si può notare la convergenza di prospettiva del regista: l'interesse non è politico, nè storico, Vittoria è scelta perchè portatrice, come in "C.R.A.Z.Y.", di una sofferenza di bambina isolata dal mondo, o con esso in contrasto.
La dimensione umana di Vittoria è sottolineata dai flashback ripetuti che si trasformano in incubi. La Regina non sa chi seguire, ed è giovane per percorrere un cammino da sola.
Il film, a dispetto delle voci autorevoli, ha una ricostruzione storica più che compiuta, non esplicitata a livello didascalico. Se si pone attenzione alla sceneggiatura e la si confronta con un testo storico, quasi ogni cosa torna, anche nella prospettiva implicita del film, quella della maturità, tanto che molti temi cari alla personalità di Vittoria, sono anticipati, e, per questo, sembrano appesi nel vuoto. Ottima la ricostruzione narrativa, con linearità e l'uso di inquadrature coordinate, anche con repentini passaggi, creando una sorta di combinazione tra situazioni spaziali diverse.
Molto importante è il ruolo degli specchi, che mostrano lo stato d'animo della protagonista, prima a sè stessa, poi, attraverso il vetro, a noi.
Questa scena da inizio ad una minuta soggettiva. Si noti la cura dei dettagli.
I monili hanno precise caratteristiche di compostezza e classe, caratteri tipici dell'arte vittoriana. Buona la ricostruzione dei costumi, e la resa fotografica, con momenti che citano l'ideale romantico.
Citazione di Delacroix in un'atmosfera bucolica.
Tornando agli interpreti, la caratterizzazione è frivola ed inconcludente, tutto a discapito del film. Se Jim Broadbent è perspicace e Rupert Friend ha un minimo di capacità emotiva, Paul Bettany non è nè carne nè pesce, come il suo personaggio, a dir poco indecifrabile. Un buon film sostenuto da Emily Blunt e dalla sua bravura. Prodotto da Martin Scorsese, vinse l'Oscar per i costumi di Sandy Powell.
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