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“In un bene impacchettato male” di Vincenzo Calò: una silloge poetica che non cede all’identificazione di massa

Creato il 22 aprile 2015 da Alessiamocci

“Voglio dormire tra le tue cose da fare/ come un frutto raccolto/ in un unico gesto, impossibile d’abbreviare/ per la noiosa normalità che/ l’arte dei nostri caratteri non vuole vincere”  da “In un bene impacchettato male”

È in un libro di piccole dimensioni, ben curato e che ben si addice alla poesia, – i libri di poesie vorremmo sempre portarli con noi nella borsa – che è racchiusa l’ultima silloge di Vincenzo Calò. Il titolo è “In un bene impacchettato male”, edito nel 2014 da deComporre Edizioni. Nel 2011, l’autore nato nel 1982 a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, aveva già pubblicato “C’è da giurare che siamo veri…”, una raccolta di poemetti con la casa editrice Albatros.

Nei 70 componimenti che compongono la collezione, è proprio il caso di dirlo, egli ragiona a ruota libera sugli argomenti più disparati, aventi come filo conduttore una ricerca di conoscenza che va al di là delle apparenze. Vincenzo Calò parla principalmente della corruzione che alberga in ambito politico; così come nel campo dell’attualità gli argomenti sembrano essere preconfezionati, al fine di accattivarsi l’attenzione della massa, quasi fossero pensati per essere presentati ad un talk show, oppure scaricati da Youtube.

Con un linguaggio ricco e mai uguale a se stesso, Calò denuncia la pochezza che ormai ha ammorbato il mondo, con una quantità davvero copiosa di parole. Il lettore, dopo la lettura delle prime liriche, in cui si sente smarrito di fronte a questo modo personalissimo di “poetare”, impara ad apprezzarne i versi.

Sono termini che a volte sembrano tratti da manuali di educazione civica, inusuali nel campo della poesia. Ma composti con sapienza, che col loro valore intrinseco non mancano di lasciare libero spazio alla fantasia.

Il modo migliore per “metabolizzare” questo poeta, secondo un mio modesto consiglio, è quello di lasciarlo parlare. Farsi inondare dai fiumi di parole che discendono dalle sue liriche. Alla fine, ciò che rimane, sarà il suo messaggio. Diverso da persona a persona, ed ampiamente interpretabile. Forse è proprio questo l’intento di Vincenzo Calò, ovvero di indurre l’uomo a ragionare con la propria testa, a non uniformarsi alla moltitudine.

Fra le righe di queste poesie, distribuite in un’ottantina di pagine, ho cercato il lato più personale dell’autore, quello che induce l’essere umano a lasciarsi andare, ad assecondare i propri desideri inespressi. Nel modo di orchestrare questa silloge ho riconosciuto così quell’attore che c’è in lui, nel senso che egli si è cimentato in rappresentazioni teatrali e musicali, partecipando come comparsa a due cortometraggi e contribuendo alla sceneggiatura di un film inedito.

Calò deve aver quindi volutamente lasciato spazio allo stupore, nei confronti di un messaggio che giunge con parole inaspettate. Un elemento da non sottovalutare.

Così come ho notato che, accanto alla politica e agli eventi attuali, talvolta fa riferimento anche ad un amore che dovrebbe essere vissuto al di là delle convenzioni, nella veridicità della sua essenza.

Quella voglia di “zucchero a velo” appena accennata, che nulla toglie ad una speranza di redenzione che, in fondo, è sempre l’ultima a morire.

Written by Cristina Biolcati


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