Tra i film usciti in questi giorni, giorni prenatalizi e quindi di un certo appeal per quel pubblico che al cinema non ci va mai ma sotto le feste non tollera la vergogna o la noia di restare a casa, ce n'è uno che arriva dalla Festa di Roma, che di quel festival è stato uno dei vincitori e che, se ci fosse ancora spazio per il cinema intermedio, non commerciale, cioè, ma nemmeno d'essai, avrebbe un successo assicurato. Si chiama In un mondo migliore, l'ha diretto la danese Susanne Bier e ha tutte le caratteristiche del film lussuoso per adulti colti e amanti passeggeri del cinema. E' una storia morale, come sempre con la Bier, che vede protagoniste due famiglie a loro modo devastate, una perché la madre è morta e ha lasciato soli e disperati il padre manager e il figlio cupo e incazzato, e l'altra perché lui è sempre in Africa a fare il medico senza frontiere, lei lo amerebbe ancora ma si sente tradita e il figlio più grande è un adolescente con gli occhi da cerbiatto e la sfiga tatuata in volto. Tutto succede con un preciso scopo, ogni evento ha un senso e una spiegazione, niente è sprecato, buttato via, anche se a un certo punto vorresti che fosse proprio così. Perché qui le immagini, le parole, la musica, gli stacchi di montaggio sono come guidati da una missione salvifica, contribuiscono alla costruizione di un castello di dolore che deve istruire il pubblico. La storia c'è, se è di storie che una va in cerca. E pure la morale, figuriamoci. A mancare è il cinema, il cinema che respira e non soffoca con la sua forza naturale: ché se uno la macchina grossa non la sua condurre, forse è meglio se non la compra... Non so se ho reso l'idea.
Magazine Cinema
Tra i film usciti in questi giorni, giorni prenatalizi e quindi di un certo appeal per quel pubblico che al cinema non ci va mai ma sotto le feste non tollera la vergogna o la noia di restare a casa, ce n'è uno che arriva dalla Festa di Roma, che di quel festival è stato uno dei vincitori e che, se ci fosse ancora spazio per il cinema intermedio, non commerciale, cioè, ma nemmeno d'essai, avrebbe un successo assicurato. Si chiama In un mondo migliore, l'ha diretto la danese Susanne Bier e ha tutte le caratteristiche del film lussuoso per adulti colti e amanti passeggeri del cinema. E' una storia morale, come sempre con la Bier, che vede protagoniste due famiglie a loro modo devastate, una perché la madre è morta e ha lasciato soli e disperati il padre manager e il figlio cupo e incazzato, e l'altra perché lui è sempre in Africa a fare il medico senza frontiere, lei lo amerebbe ancora ma si sente tradita e il figlio più grande è un adolescente con gli occhi da cerbiatto e la sfiga tatuata in volto. Tutto succede con un preciso scopo, ogni evento ha un senso e una spiegazione, niente è sprecato, buttato via, anche se a un certo punto vorresti che fosse proprio così. Perché qui le immagini, le parole, la musica, gli stacchi di montaggio sono come guidati da una missione salvifica, contribuiscono alla costruizione di un castello di dolore che deve istruire il pubblico. La storia c'è, se è di storie che una va in cerca. E pure la morale, figuriamoci. A mancare è il cinema, il cinema che respira e non soffoca con la sua forza naturale: ché se uno la macchina grossa non la sua condurre, forse è meglio se non la compra... Non so se ho reso l'idea.
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