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Incantesimi antichi: Deianira

Creato il 24 marzo 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua

Non esistono, nella poesia greca, maghe che reggano il confronto con Circe e Medea, eppure la tragedia e l'epica ci presentano alcune donne che, più o meno intenzionalmente, ne ripercorrono le orme, manifestando capacità farmacopoietiche (cioè di creazione di filtri o, comunque, di uso di tali sostanze) e preveggenza: Deianira, Fedra ed Elena. Oggi vi propongo di approfondire la conoscenza della prima di queste eroine del mito.

Figlia della regina Altea e di Oineo (o di Dioniso), Deianira diviene sposa di Eracle dopo essere stata da questi salvata prima da un mostruoso pretendente, il multiforme Acheloo, e poi dal centauro Nesso. Tuttavia l'eroe non è un marito fedele, ed è in occasione del ritorno a Trachis con una nuova concubina che Deianira decide di ricorrere, per non perdere l'amore di Eracle, ad un filtro d'amore. Di fronte al folle desiderio di Eracle per Iole, la figlia del sovrano di Ecalia per cui l'eroe ha messo a ferro e fuoco la città, Deianira richiama alla mente il monito di Nesso: ferito a morte da un dardo di Eracle, il centauro aveva invitato Deianira a raccogliere il sangue stillante dal taglio e commisto al veleno dell'Idra di Lerna che ancora impregnava la freccia scagliata da Eracle, consigliandole di serbarlo per garantirsi la fedeltà dell'eroe. Deianira espone i suoi propositi nel lungo discorso che tiene nel secondo episodio delle Trachinie di Sofocle, quando ha ormai la certezza che la giovane donna condotta da Lica, braccio destro di Eracle, a Trachis, sia il nuovo oggetto dei desideri dello sposo (Soph. Trach. 555-580 passim):

Avevo un veccho dono, di un'antica
fiera, nascosto in un lebete di bronzo;
lo presi quando ancora ero ragazza
da Nesso in fin di vita, raccogliendolo
dalle ferite insanguinate sopra
il suo petto peloso [...]
"Se tu raccogli il sangue coagulato
intorno alla ferita, dove il siero
nero di bile dell'Idra di Lerna,
il suo veleno, ha impregnato la freccia
del mio sangue, potrai usarlo come
un filtro magico sul cuore di Eracle,
tanto che più di te non amerà
nessun'altra, vedendola". Ed è a questo,
al sangue di lui morto, che ho pensato,
amiche: lo serbavo in casa, chiuso
con grande cura, e ho intinto questa veste
facendo tutto quello che mi aveva
detto mentre era in vita.

Deianira si presenta in scena recando la veste intrisa del filtro: l'unione del sangue del centauro e del veleno dell'Idra dovrebbe produrre, secondo l'illusione data da Nesso alla donna, il repentino concentrarsi del desiderio di Eracle sulla sposa a scapito delle altre donne, ma è in realtà un composto letale, che porta a termine una vendetta a distanza da parte del defunto Nesso, tanto che B. Goward, raffrontando la morte di Eracle e quella di Aiace, uccisosi sulla spada donatagli dal nemico Ettore molto tempo dopo la morte di quest'ultimo, ha evidenziato un meccanismo comune, per cui "i morti uccidono i vivi" (che sembra quasi una citazione delle Coefore di Eschilo, vv. 886).

Sebbene le notizie relative alla morte di Eracle prodotta dalla veste avvelenata risalgano al Catalogo delle donne di Esiodo (F. 25 M-W, 20-25) e siano attestate anche dal ditirambo 16 di Bacchilide, la fonte più completa nel descrivere il decorso della vicenda è proprio la tragedia sofoclea, dalla quale apprendiamo che Deianira ha conservato in un calderone il sangue di Nesso commisto al veleno per usarlo come filtro incantatorio su Eracle. Di questa sostanza, dunque, Deianira intride le vesti di Eracle, usando un batuffolo di lana che, abbandonato al sole, diventa la prefigurazione di ciò che, di lì a poco, accadrà all'eroe: esso avvampa improvvisamente, consumandosi e lasciando nient'altro che cenere. Ma Deianira non immagina o ignora volontariamente che la stessa sorte toccherà ad Eracle.

Eracle indossa la veste e si reca a compiere dei sacrifici: non appena il vapore delle fiamme lambisce il mantello stregato, l'eroe inizia a consumarsi, come corroso da un acido. L'agonia di Eracle, divorato dal maleficio del filtro, viene descritta prima da Illo, suo figlio (vv. 765-787), poi dalla vittima stessa, che, negli ultimi istanti di vita, si trascina sulla scena (vv. 1053-1057):

ILLO: Però mentre
la fiamma mescolatasi col sangue
del rito sacro ardeva insieme al pino
resinoso, un sudore gli saliva
sulla pelle e il chitone gli aderiva
ai fianchi, come di uno che lavora,
su tutte le articolazioni. Lo prese
un prurito spasmodico alle ossa:
lo stava consumando come fosse
veleno di una vipera omicida.
[...] Si torceva per terra, poi si alzava
gridando, urlando.
ERACLE: ... Si è fissata
contro i fianchi, mi mangia fino al fondo
della carne, e vive con me seccandomi
i bronchi: ormai ha bevuto il sangue vivo,
e il mio corpo è annientato, tutto, preso
da questa innominabile catena.

Il filtro che si attacca alla carne e alle ossa, le fitte che costringono la vittima in convulsioni improvvise, il corpo che si riduce a brandelli offrono al lettore una sintomatologia coincidente con quella della sventurata Glauce, uccisa dai doni avvelenati di Medea. In entrambi i casi, le sostanze velenose agiscono per contatto, trasformando un regalo gioioso in una trappola letale.
Le intenzioni di Deianira sono state variamente interpretate. Gran parte della critica sembra convenire sull'innocenza della donna, sulla sua purezza e sulla assoluta non intenzionalità dell'uccisione di Eracle. Esiste però, in opposizione a questa lettura, una corrente che addita Deianira come una consapevole assassina, che risponderebbe ai requisiti di ferocia della donna-guerriera descritta da Apollodoro. Questa tesi, che assume come dato primario l'etimologia del nome Deianeira 'assassina di uomini', va ricondotta a I. Errandonea, che fa leva sulle consonanze fra le parole e le azioni della Medea di Euripide e della Clitemestra di Eschilo e quelle dell'eroina sofoclea per dimostrare come Deianira non sia affatto la donna timida e remissiva che appare nel prologo, bensì una "ultrix mariti infedelis" (vendicatrice del marito adultero).

Deianira, quindi, si trasforma in una maga pari a Medea, in grado di usare un peplo come veicolo di morte. Va però evidenziato un importante scarto fra le due figure, che può scagionare Deianira dall'accusa di omicidio intenzionale: Medea è determinata nel compimento dei suoi rituali assassini e ne compie diversi in ogni momento della sua vita seguito all'incontro con Giasone, è, per così dire, recidiva; Deianira, invece, resasi conto del reale effetto della magia, si suicida. Inoltre, all'eroe viene offerta, prima della morte, una pur vana spiegazione dell'accaduto, poiché Illo rivela l'inganno ordinto da Nesso ai suoi danni (vv. 1138-1142). Questi elementi distanziano la devastante e consapevole azione dell'esperta maga che è Medea dall'opera di un'ingenua fattucchiera.
Deianira si afferma, pertanto, come una maga mancata, come una donna che manifesta una estrema debolezza nell'affidarsi alle parole di un errato consigliere. Questa constatazione la allontana da Medea e la avvicina, piuttosto alla esitante Fedra che sembra lasciarsi tentare dalle abilità magiche della sua nutrice.

C.M.

NOTE:
Questo post è la sintetica riduzione di uno studio che ho personalmente condotto sulla magia e sulle sue protagoniste all'interno della poesia greca antica e che ha costituito la mia tesi di Laurea magistrale, intitolata Thelktéria. Personaggi femminili, oggetti e parole della magia nella poesia greca da Omero all'età ellenistica. Si tratta del quinto appuntamento con questo ciclo di articoli, dopo quelli dedicati a Circe e a Medea ( parte I, parte II e parte III); seguiranno gli articoli dedicati alle altre maghe citate. Rimango a disposizione per chiarimenti bibliografici. I testi di Sofocle qui riportati sono stati tradotti dal prof. Andrea Rodighiero nell'edizione Marsilio delle Trachinie, pubblicato come La morte di Eracle.


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