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"Incident at Loch Ness"

Creato il 23 maggio 2011 da Pickpocket83

Chissà se Werner Herzog conosceva Zak Penn. E chissà chi ha proposto a chi di realizzare questo film. Se Zak Penn a Herzog, per omaggiarne la titanica grandezza degna di un eroe Marvel. O se Herzog a Zak Penn, desideroso di “sfidare” gli aspetti più ineludibili e fondanti dell’industria cinematografica mainstream americana. Per scoprire chi è Zak Penn basta leggere la sua scheda su IMDB: sceneggiatore di film come “Last action hero”, “X-Man”, “X-Man 2”, “L’incredibile Hulk”, produttore di “Osmosis Jones” e “The Grand”. La cosa (oggetto filmico) in questione si chiama “Incident at Loch Ness”, è uscito negli States nel Settembre del 2004 ed è uno dei casi più interessanti di mockumentary girati negli ultimi anni. Il genere ha conosciuto una importante recente rielaborazione con “I’m still here”, apparso nel disorientamento generale durante la scorsa Mostra del Cinema di Venezia. Se il film di Casey Affleck si muoveva sul labile confine realtà/finzione situato dentro il perimetro della vita di un attore, il film di Zak Penn, scritto da Penn e dallo stesso Herzog vira sul terreno profondamente herzoghiano della manipolazione delle immagini, e sulla fallacità del mero dato di realtà catturato dalla macchina da presa. Il film prende le mosse da un fantomatico primo documentario (“Herzog in Wonderland”) che una mini-crew di macchinisti sta girando con macchina a mano, tallonando il regista bavarese dentro la cucina di casa sua a Los Angeles. L’occhio attraverso il quale vedremo il film sarà questo per tutta la sua durata, quello dell’operatore di “Herzog in Wonderland”. All’operatore che gira questo documentario tocca in sorte di documentare la realizzazione di un secondo “documentario”, quello che (nella finzione del mockumentary) il produttore Zak Penn chiede a Werner Herzog di girare sul lago di Loch Ness. Il falso documentario di Penn concede ad Herzog l’occasione per nobilitare con dosi massicce di autoironia tutta la sua poetica, toccando con sfumature spesso esilaranti vari capitoli della vulgata  herzoghiana: il rischio fisico durante le riprese, il rapporto a mano armata tra regista e attori, l’ostilità nei confronti degli effetti speciali, la macchina da presa che filma il non-filmabile (la morte) e il mai-filmato (il mito). In particolare questa ultima connotazione anticipa in modo singolare, e anche un po’ inquietante, la decisiva tappa della filmografia di Werner Herzog dedicata a Timothy Treadwell, che con ogni probabilità Herzog aveva già in mente quando era sul Lago di Loch Ness. Non si spiegherebbe facilmente, altrimenti, la sovrapponibilità di almeno un momento importante presente nei due film, sebbene “reale” e non ricostruito solo in “Grizzly Man”. O almeno questo è quello che è più facile pensare. Dov’è la verità, Werner? Meglio non cercarla sulla superficie sdrucciolevole dei fatti.
 


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