Tutti ci ricordiamo bene del 1 luglio 2009: il volo Air France AF447, da Rio de Janeiro a Parigi, cadde nell’Oceano Atlantico portando con se’ tutti i 216 passeggeri e i 12 membri dell’equipaggio.
Dopo pochissimo tempo fu possibile speculare in maniera oggettiva sulla responsabilita’ del Tubo di Pitot, un dispositivo che serve a rilevare la velocita’ dell’aeromobile, quindi vitale affinche’ i computer di bordo possano eseguire tutta una serie di calcoli e mettere a disposizione dei piloti le informazioni necessarie alla conduzione dell’aeromobile.
Tubo di Pitot (clicca per ingrandire)
Gli aerei dell’Airbus sono molto automatizzati, al punto che l’intero sistema e’ basato sulla tecnologia fly-by-wire. In altre parole non esistono collegamenti diretti tra i comandi e le superfici di controllo piuttosto che con i motori, ma tutte le operazioni vengono mediate da una serie di computer che impediscono, ad esempio, che chi conduce il mezzo possa compiere manovre non consentite dalle leggi della Fisica e dai limiti progettuali del mezzo. E’ chiaro che, quando il volo viene operato direttamente dal pilota automatico, questo sovrintende completamente alla navigazione, utilizzando tutti i dati provenienti dai vari sistemi e dispositivi di bordo, tra cui, appunto, i Tubi di Pitot.
Quando i computer rilevano discrepanze tra i dati, oppure non ricevono dati sufficienti, il comando del velivolo viene restituito al pilota, in modalita’ parzialmente protetta oppure del tutto non protetta. E’ stato stabilito, direi in modo inequivocabile, che, durante quel volo, il computer principale decise di disattivarsi, proprio a causa della natura conflittuale del dato di velocita’ riportato dai Tubi di Pitot. Per questo motivo, il 22 settembre 2009 l’EASA (European Aviation Safety Agency) emise una direttiva per mezzo della quale intimo’ alle compagnie aeree che utilizzavano Airbus A330 e A340 di procedere alla sostituzione dei Tubi di Pitot con modelli ritenuti piu’ affidabili.
Tornando all’incidente, di recente sono state recuperate le famose scatole nere, e alcuni dati sono stati finalmente analizzati, al punto tale da poter ricostruire gli ultimi minuti di quel tragico volo.
Ecco quanto.
Dopo 3 ore e 55 minuti dalla partenza (tempo assoluto, dove la partenza = 00:00:00), il comandante sveglia il secondo e gli passa il comando dell’aereo e, dopo aver preso parte al briefing dei piloti, va a riposare alle 4:01:46. Alle 04:06, il secondo pilota informa l’equipaggio che sta per arrivare un’area di turbolenza. Alle 04:10, il secondo vira leggermente a sinistra e riduce la velocita’ a 0.8 Mach (ad alta quota la velocita’ sul pannello dell’autopilota si imposta in Mach).
NOTA: entrambe le manovre sono normali. La virata e’ dovuta al tentativo di passare attraverso una zona meno turbolenta (identificabile sul radar atmosferico di bordo), e la riduzione della velocita’ e’ prevista dal manuale, e serve a ridurre il carico strutturale sull’aeromobile sollecitato dalle condizioni meteo avverse.
Alle 04:10:05, il computer stacca il pilota automatico e la manetta automatica (dati incongruenti dai sistemi di bordo), il pilota prende i comandi e cabra (muso verso l’alto). Contestualmente l’aereo rolla (si inclina) a destra, per cui il pilota da un input al joystick di virata a sinistra. L’allarme di stallo (che segnala che l’aereo sta per perdere portanza, o che l’ha gia’ persa) suona 2 volte. 10 secondi dopo, la velocita’ rilevata dal computer (e registrata nella scatola nera) cala bruscamente da 275 a 60 nodi (che sono assolutamente insufficienti a sostenere in volo un aereo come quello). L’angolo di attacco (l’angolo formato dalle ali e il piano dell’orizzonte) aumenta, e l’aereo inizia a salire.
Angolo di attacco (clicca per ingrandire)
NOTA: un velivolo stalla quando il flusso d’aria che passa sotto le ali non e’ piu’ sufficiente a generare portanza. Un aereo puo’ stallare per diversi motivi, ma i piu’ comuni sono due: velocita’ troppo bassa oppure angolo di attacco troppo alto. E’ importante sapere che piu’ aumenta la quota e piu’ l’aria e’ rarefatta (meno densa), quindi a 35.000 metri la velocita’ di crociera e quella di stallo non sono molto lontane fra loro. A bassa quota la velocita’ di stallo e’ decisamente inferiore, ma non e’ questo il caso.
Gli strumenti di sinistra riportano un aumento repentino della velocita’, a 215 nodi. Il pilota continua a tenere il muso puntato verso l’alto, finche’ alle 04:11:00 l’aeromobile raggiunge quota 38.000 piedi (si trovava a 35.000 piedi). Un metodo veloce per convertire i piedi in metri e’ quello di dividere i piedi per 3 e sottrarre ancora il 10% di cio’ che resta dal risultato. Quindi 38.000 piedi = (38.000/3) = 12.667 – 10% di 12.667 = 11.400 metri.
A quel punto l’angolo di attacco e’ di 16 gradi, e la manetta e’ sulla posizione TO/GA (Take Off/Go Around, quindi potenza massima!).
Alle 04:11:40 il comandante ritorna in cabina di pilotaggio, l’angolo di attacco ha raggiunto i 40 gradi (elevatissimo vista la quota) e il velivolo e’ ridisceso a 35.000 piedi (in stallo) con i motori che girano al 100%. Gli allarmi di stallo smettono di suonare, a causa dell’elevato angolo di attacco, situazione in cui alcuni dati non vengono considerati validi.
Dopo circa 20 secondi, il comandante riduce leggermente l’angolo di attacco, i dati tornano validi e l’allarme di stallo riprende a suonare. Da questo momento, e fine alla fine tragica del volo, l’angolo di attacco non scendera’ mai al di sotto dei 35 gradi, e durante gli ultimi minuti la manetta restera’ sulla posizione IDLE (no potenza), anche se i motori risultano perfettamente funzionanti e controllabili.
NOTA: la questione della manetta IDLE non mi e’ chiara, ed e’ in contraddizione con il resto dei dati contenuti nella scatola nera. Senza spinta negli ultimi minuti, le cose sarebbero andate diversamente e in modo decisamente piu’ disastroso (vedere anche dopo)!
La registrazione termina a 04:14:28. In quel momento la velocita’ dell’aereo e’ di 107 nodi, in discesa a 10.912 piedi al minuto (!!!) e, durante la discesa, il mezzo effettua una virata di oltre 180 gradi in direzione 270 (Sud). Il velivolo risulta in stallo per tutta la durata della discesa da 38.000 piedi (3 minuti e 30 secondi). Immaginate quindi un aereo che apparentemente procede in avanti, ha il muso sollevato verso l’alto, ma in realta’ sta cadendo verso il basso, fino a che non si schianta di pancia sul mare in tempesta.
NOTA: difficile dire, vista la spinta dei motori e il muso verso l’alto, se i passeggeri abbiano provato una forte sensazione di caduta libera, ma purtroppo per loro devono essersi resi conto molto bene che qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Conclusioni fino a questo punto: il volo A447 e’ precipitato in stallo da 38.000 piedi, i piloti hanno perso completamente il controllo e non sono riusciti a far nulla. Non si sa se la virata di 180 sia stato un effetto causato dall’uomo oppure dallo stallo stesso. Solo il fatto di aver tenuto un angolo di attacco elevato e di aver forzato i motori a lungo ha evitato che il velivolo puntasse da solo il muso verso il mare, avvitandosi su se stesso cadendo a 1.000 Km/h. Il che l’avrebbe distrutto in volo, oppure gli avrebbe fatto coprire i 38.000 piedi in molto meno di 3 minuti e mezzo!
Domanda: quando e’ suonato il primo allarme di stallo, con caduta repentina della velocita’ a 60 nodi, perche’ il secondo ha puntato il muso verso l’alto e ha messo la manetta al massimo? E’ procedura comune invece, per cercare di prevenire/recuperare uno stallo, puntare il muso immediatamente verso il basso e ridurre dopo poco la manetta (per evitare di superare la velocita’ massima strutturale). Una volta recuperata portanza, si puo’ livellare l’aeromobile e, eventualmente, riprendere quota se tutto funziona.
Imperizia, oppure dati sbagliati sui display? Ricordiamoci che di notte, nel temporale, a circa 10.000 metri di quota, i piloti non avevano alcun riferimento visivo, e in una situazione del genere si puo’ anche confondere l’alto con il basso, soprattutto se la spinta gravitazionale e quella centrifuga (stallo, motori al massimo, virate, ecc…) sono anomale e la percezione corporea e’ alterata. E’ tutto molto strano in effetti: se il dato di velocita’ riportato dal Tubo di Pitot era errato, allora vuol dire che l’aereo non aveva perso velocita’, quindi non rischiava di stallare. Si potrebbe pensare che il pilota abbia intuito il problema, non si sia fidato del display e abbia cercato di salire velocemente sperando di mettere la testa oltre il temporale. Ma perche’ salire con un’angolo di 40 gradi? Che fossero guasti anche l’orizzonte artificiale e il variometro (lo strumento che indica il rateo di salita in piedi al minuto)? Eppure il cockpit dell’A330, se non sbaglio, dispone pure di orizzonte artificiale e variometro analogici. Possibile che non funzionassero perfino questi, che non dipendono dai computer e non hanno nulla a che fare col Tubo di Pitot?
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Sta di fatto che, molto probabilmente, e’ stata proprio la salita eccessivamente accentuata da 35.000 a 38.000 piedi a causare lo stallo, e che l’AF447 non stesse affatto per stallare quando gli allarmi si sono messi a suonare la prima volta.
Ulteriori informazioni quando le avremo. Per ora e’ tutto.