La mattina dopo che i Federali le avevano incendiato la casa e preso suo padre, Havaa si svegliò da sogni di anemoni di mare. Mentre lei si vestiva, Achmed, che non aveva chiuso occhio, camminava avanti e indietro davanti alla porta della camera, osservando il cielo schiarirsi oltre il vetro della finestra; il sorgere del sole non lo aveva mai fatto sentire in ritardo. Quando la bambina emerse dalla camera, con l’aria più grande dei suoi otto anni, Achmed le prese la valigia e lei lo seguì all’esterno. La condusse fino al centro della strada prima di alzare gli occhi su quello che restava della casa. «Havaa, dobbiamo andare» disse, ma nessuno dei due diede segno di volersi muovere.
La neve si ammorbidì sotto le loro scarpe mentre fissavano la grossa chiazza di cenere appiattita al di là della strada. Rade braci arancioni sibilavano ancora nelle pozze di neve grigia, ma tutto il resto era carbonizzato. Nemmeno sette anni prima, Achmed aveva aiutato Dokka a costruire un’aggiunta, affinché la bambina avesse una stanza tutta per sé. Aveva disegnato il progetto e tagliato la legna e l’aveva trasformata in assi che erano diventate una stanza; e quando Dokka gli aveva promesso di ricambiare aiutandolo a costruire un’aggiunta per casa sua, se mai avesse avuto un figlio, Achmed aveva ringraziato l’amico e se n’era tornato a casa, con un groppo in gola che s’era sciolto in un singhiozzo appena si era chiuso la porta alle spalle. Trasportare la legna per i quaranta metri che li separavano dal bosco gli aveva lasciato le vesciche sulle mani e le ascelle fradice di sudore, ma adesso erano bastate poche ore di fiamme perché tutto quello che gli era costato mesi di progetto, settimane di trasporto, giorni di costruzione, tutto – a eccezione di chiodi e rivetti, cardini e bulloni – si disperdesse nel cielo. E insieme al resto erano spariti anche i piccoli tesori che facevano di quella casa la casa di Dokka. C’erano i pezzi degli scacchi intagliati a mano sul tavolino rotondo; il re bianco che, a muoverlo, tentennava da una parte all’altra come un uomo sobrio quel tanto che bastava per reggersi in piedi, e Dokka lo aveva soprannominato sua maestà Boris Eltsin. C’era il vaso di porcellana con gli arabeschi persiani e, accanto, la grossa radio con l’antenna così lunga che sfiorava il soffitto quando la si appoggiava all’elenco telefonico, eppure ancora troppo corta per riuscire a captare più di un fruscio indistinto. C’era il Corano vecchio di ottantacinque anni, con la copertina viola percorsa dall’intricata calligrafia, che il nonno di Dokka aveva comprato alla Mecca. C’erano tutte quelle cose, e le fiamme se le erano mangiate e, poiché le fiamme non distinguono la parola di Dio da quella dell’Ufficio del Registro delle Comunicazioni Sovietico, sia il Corano sia l’elenco telefonico erano tornati a Lui nella stessa vampata di fumo.
Autore: La fragile costellazione della vita
Titolo: Anthony Marra
Titolo originale: A Constellation of Vital Phenomena
Traduttore: Laura Prandino
Genere: Letteratura straniera
Data prima pubblicazione: (in Italia nel 2014)
Casa Editrice: Piemme
416 pagine
Prezzo copertina: 18,50 €
EAN 9788856630169
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La fragile costellazione della vita
Sinossi:
La vita non è mai una linea retta. E la sua era un’orbita irregolare attorno a una stella oscura, una falena che girava attorno a una lampadina fulminata, alla ricerca della luce che aveva racchiuso. Un uomo e una bambina fuggono nei boschi; alle loro spalle, una casa in fiamme, distrutta dai soldati russi che hanno arrestato il padre della bambina e che ora stanno cercando anche lei. L’uomo si chiama Achmed: medico (incompetente) di professione, artista (mancato) per vocazione, nella vita ha sbagliato tutto, ma ora non può fallire, deve salvare la piccola Havaa, figlia di colui che un tempo era il suo migliore amico. È pronto a rischiare la vita pur di portarla in città, è disposto a tutto pur di chiedere aiuto a una donna di cui conosce soltanto il nome: Sonja. Lei fa il chirurgo, e ha abbandonato una brillante carriera a Londra per tornare in Cecenia a cercare la sorella scomparsa. Insieme a un’unica infermiera, gestisce ciò che resta dell’ospedale della città, dove è più facile procurarsi munizioni che garze, le suture si fanno con il filo interdentale, e due soli reparti sono ancora in funzione: maternità e traumatologia. Perché la vita, dopo anni di guerra, ormai è semplice, essenziale: si nasce, si muore. Grazie ad Havaa, nel corso di cinque giorni cruciali, Achmed e Sonja scopriranno gli intrecci invisibili che legano da sempre le loro strade. Perché Havaa è la forza che attrae i destini in un’unica orbita…