SEI RITORNATA FRAGILE, PICCINA, INCONSUETA
Sei diventata uno scricciolino. Quasi stai tutta in una mano.
Ti tengo addosso prima di metterti a letto, in quella stessa stanza abitata dalla penombra che elessi a tempio del nostro primo amore, quasi due anni fa, quando sei venuta al mondo. Sei ritornata fragile, piccina, inconsueta.
Da giorni e giorni non mangi.
Dapprima t’inseguo con l’insistenza che s’impunta, come un orgoglio ferito. Provo i tuoi piatti migliori, prendi un cucchiaio poi lasci.
Un po’ lascio stare, quando avrai fame mangerai. Penso alle madri che lottano da sempre con un figlio inappetente: non mi era mai successo, ma in fondo non sei mai stata una divoratrice. Ci può stare.
Si susseguono pasti di piatti intonsi, posate pulite. E comincio a contare.
Il tuo solito brio va e viene, ritorni la Isabelle che conosco, schiamazzi e distilli vita, additi le stelle sull’albero, componi frasi. Canticchi. Poi viene un mostro buio, che non conosco, il padre oscuro di qualche disturbo non ancora diagnosticato, ti prende, ti porta dove chissà. Al posto tuo un cencio vuotato come un calice riverso per errore. Ti accasci sulla spalla di uno di noi, tuo padre, la mia. Stai lì come ci fossi nata. Come dovessi restarci per sempre.
Forse non è niente. Forse è solo un virus maledetto, ho visto il tuo piccolo viso contrarsi straziato e spaventato. Mi reclami più che mai, sei mogia, consumata, oppure nervosa, una serie audace di no senza fine. Ma ho smesso di arrabbiarmi.
Com’è denso l’amore di una madre intorno a un figlio malato: solidifica come cera di una candela, il lume attento della veglia. Osserva ogni cosa, ogni reazione negli occhi insetti piccoli e persi, nel cibo rimasto nel piatto, in mani che stringono piano peluche diventati giganti. Pronto a esultare per ogni minuto segnale di ripresa, per un ritornello che ti torna alle labbra, un desiderio bambino di gioco, una domanda, un fottuto succo di frutta. Una cannuccia. Il pupazzetto di un vecchio ovetto kinder.
Hai gli occhi grandi, adesso, la fronte alta, una piccola bocca che sbadiglia senza tregua. Anche i capelli sembrano ancora cresciuti, su quel tuo volto che pare cancellato nelle guance, ritoccato nei volumi. Vuotato come le tue energie.
Sei un uccellino, piccolo come le prime volte.
Che l’occhio grande non basta a sanare.
Come sbaraglia la novità inattesa di un disturbo, un male un problema. Sono una donna minuscola. Con un cuore che straborda.