Esco dall’ufficio con tutta calma visto che come al solito il mio treno ha più di 20 minuti di ritardo. Ne passano altri 10 prima che io riesca a salire a fatica sul 175, ritagliandomi un angolino tra le bandiere rosse e verdi dei pellegrini arrivati dal Malawi per la santificazione di papa Giovanni Paolo II.
Il bus non fa in tempo a ripartire che una donna inizia a bussare a palmo aperto sulla porta per poter salire, tirandosi dietro il figlio di otto anni visibilmente provato dall’attesa e dalla stanchezza. Una volta a bordo, l’occhio della donna cade subito sulla bandierina incollata al bastoncino sottile che svetta sotto al mio naso, si guarda attorno, mette a fuoco il prete in fondo al bus, fa un grande respiro ed esclama “I Know you! I lived in Nkhotakota in 2003 close to your church! I worked for Women Against AIDS! “.
Seguono abbracci, reminiscenze di chichewa, parole di amore per quella terra lontana, l’affermazione del desiderio di mostrare al figlio cos’è l’Africa, la voglia di tornare, i ricordi di un lavoro difficile ma che riempiva il cuore ogni giorno. E ancora abbracci.
Ed io che non riesco a trattener le lacrime, spettatrice passiva di questo gioco incredibile del destino e del caso. Piango nel vedere il carico di nostalgia negli occhi di quella donna e ho l’impressione di poter andare oltre a quegli occhi scuri occhi e leggerle nei pensieri.
Mal d’Africa, in realtà non te ne sei mai andato.
Il treno l’ho visto partire e allontanarsi piano. Non ce l’ho fatta a correre. E non me ne importa niente.