Incontro con Bauman

Creato il 21 ottobre 2012 da David Asìni
 
"La ragione di questa crisi, che da almeno cinque anni coinvolge tutte le democrazie e le istituzioni e che non si capisce quando e come finirà, è il divorzio tra la politica e il potere". Zygmunt Bauman
 Per chi non conoscesse Zygmunt Bauman un buon consiglio; leggetelo. Oltre ad essere universalmente riconosciuto come uno dei sociologhi piu' importanti al mondo, e' forse quello che riesce piu' degli altri ad esprimere concetti assai complessi in maniera molto chiara e semplice. Delinea i contorni  che spesso ci sembrano sfuggire all'interno delle dinamiche generali, e sa usare, come direbbe il poeta:  "la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco". Bauman parla di "modernita' liquida" come metafora di una societa' in cui nulla sembra poggiare su solide fondamenta:  "un mondo che chiamo liquido perché come tutti i liquidi non può restare immobile a lungo. In questo nostro mondo tutto, o quasi, è in continua trasformazione: le mode che seguiamo, gli oggetti che richiamano la nostra attenzione, ciò che sognamo o temiamo, che suscita in noi speranza o preoccupazione". Il concetto stesso di precarieta' e' invasivo, e trasmuta dal settore lavorativo a quello sociale: "Accade che una relazione fortemente vincolante basata sull'impegno a lungo termine produce paura di perdere le opportunità che sorgono nella modernità liquida. Da qui discende che la relazione pura è percepita come una liberazione, ma il risultato è avere paura di vivere in condizione di angoscia permanente. Oggi i legami tra persone sono fragili, c'è un altissimo livello di insicurezza che riguarda i rapporti tra gli individui e la comunità rispetto l'affidabilità degli altri. L'appartenenza alla comunità è stata sostituita dall'appartenenza alle reti - argomenta - Oggi è facile avere incontri e appuntamenti grazie al pc, è infantilmente facile rispetto al passato: si selezionano le qualità dallo schermo (interessi, qualità fisiche) proprio come si scelgono merci in un negozio. La popolarità dei social network è dettata dalla facilità con cui ci si può sbarazzare di impegni a lungo termine semplicemente con un click: con i social network, le persone cercano l'esigenza fondamentale della condizione umana, ovvero la ricerca di amore, di amare e di essere amati". Tuttavia, "amare significa impegno, accettazione di rischi, abnegazione, esporsi all'incertezza, speranza di riuscire a produrre relazioni durevoli. Gli utenti di questi network risultano sempre frustrati, ciò che essi trovano sono impegni superficiali che sostituiscono quanto realmente stanno cercando. Ciò che causa tutto ciò è l'illusione consumistica che vorrebbe farci credere di potere scegliere i nostri partner come una marca di yogurt: non accuso l'avvento dei computer,sono solo mezzi, non capri espiatori, ma neanche salvatori; ciò che è necessario è quell di fare qualcosa rispetto all'illusione consumistica, dare una risposta a questo fenomeno". Ed infine, sulla nascita e le possibili soluzioni della crisi : "Oggi c'e'  solidita' nel senso di resistenza al cambiamento. Negli ultimi anni ci sono stati molti movimenti, gli indignados spagnoli, Occupy Wall Street e altri. Molte spinte, grandi manifestazioni di massa e tuttavia non accade nulla. Prendiamo Occupy Wall Street: è stato trattato bene dai giornali, la televisione ne ha parlato, l’unica forza che non ha prestato alcuna attenzione è stata la Borsa di Wall Street. Non è cambiato assolutamente nulla. La mia teoria è che il sistema non è solido di per sé: ha sviluppato efficaci meccanismi di autoriproduzione ma ha delle fragilità incorporate. Diventa più iniquo ogni giorno che passa: oggi negli Stati Uniti, un amministratore delegato guadagna in media 531 volte più del lavoratore medio; nel 1960 il rapporto era 1 a 12. La finanza ha creato un’economia immaginaria, virtuale, spostando capitali da un posto all’altro e guadagnando interessi. Il capitalismo tradizionale funzionava sulla creazione di beni, mentre ora non si fanno affari producendo cose ma facendo lavorare il denaro: l’industria ha lasciato il posto alla speculazione, ai banchieri. Questo significa che il sistema ha accentuato la sua tendenza interna ad autodistruggersi, ma non potrà continuare a lungo. Se la resistenza umana non sarà in grado di mettervi fine ci penserà la natura. Ci sono ovviamente limiti precisi alle risorse del pianeta e una società basata sulla crescita illimitata della produzione e del consumo incontrerà questi limiti molto presto. Ed ancora: "Il potere è la capacità di esercitare un comando. E la politica è la capacità di prendere decisioni vincolanti. Gli stati-nazione avevano il potere di decidere e una sovranità territoriale. Ma questo meccanismo è stato completamente travolto dalla globalizzazione perché la globalizzazione ha trasferito il vero potere al di là dei territori, scavalcando la politica. Gli Stati nazionali sono attraversati dal potere globale della finanza, delle banche, dei media, della criminalità, della mafia, del terrorismo. Ogni singolo potere si fa beffe delle regole e del diritto locali, e anche dei governi ovviamente. I governi europei dovrebbero fare ciò che gli elettori chiedono, cioè agire contro la disoccupazione di massa, ma naturalmente non lo possono fare: sono costretti ad ascoltare quanto le corporation e i banchieri dicono loro. I governi sono eletti per quattro anni e possono agire solo su un territorio limitato, le corporation sono permanenti e hanno come teatro d’azione il mondo. Non riusciremo a risolvere i problemi globali se non con mezzi globali, restituendo alle istituzioni la possibilità di rispettare la volontà e gli interessi delle popolazioni. Però, questi mezzi non sono stati ancora creati". Individuate le cause prime, le dinamiche, le possibili evoluzioni; lo fa' cosi bene che qualcuno ha pensato di intitolare il proprio blog con una sua massima.Sabato  ho avuto modo di ascoltarlo dal vivo, ospite del Salone dell'editoria sociale a Testaccio. Una bellissima e assolata ottobrata romana , tanta gente, un clima di partecipazione e attesa. Subito ci informano che il presentatore Massimiliano Smeriglio - assessore alle Politiche del Lavoro della Provincia di Roma, e' assente per influenza (dicono). Sara' stata un'impresa ammalarsi con questa temperatura, ma forse e' meglio cosi: la presenza di un politico avrebbe forse stonato. Ágnes Heller e Aleksandra Jasinska-Kania introducono il tema del populismo in Europa; leggono entrambe un testo interessante, ma didascalico. Prende la parola Bauman, parla a braccio. Disserta sui presidenti spagnoli e francesi, dice che in questa situazione chiunque fosse stato al governo avrebbe perso le elezioni, e che sostanzialmente, le politiche sono le stesse dei predecessori. Apre all'Europa, e indica la necessita' assoluta di una regia unica, capace di agire autonomamente senza il beneplacito degli U.s.a. Si lancia in una lunga e appassionata difesa dell'individuo, rimasto solo ad affrontare problemi che invece sono sistemici. Cambia spesso tono e modi della voce, chiede se ha ancora tempo. Infine, per tornare al tema principale, indica come unica soluzione alla nascita di populismi sempre piu' aggressivi la difesa dello stato sociale e degli interessi dei piu' deboli. L'incontro finisce, esco satollo come dopo un lauto pranzo. Cosa ho imparato? Vedendo questo signore ottantasettenne , relatore di migliaia di conferenze, appassionarsi ancora cosi tanto da preoccuparsi di non avere abbastanza tempo per dire tutto quello che gli premeva, mi sono ricordato di una cosa. Che il mondo passa sempre attraverso le nostre scelte, e che senza la voglia e la responsabilita' di starci dentro, non si costruisce niente. Forse sono diventato un po' piu' filosofo anch'io.
 

 
"Quale che sia il contante e il credito di cui disponiamo, non troveremo in un centro commerciale l'amore e l'amicizia, i piaceri della vita familiare, la soddisfazione di prenderci cura dei nostri cari o di aiutare un vicino in difficoltà, l'autostima per un lavoro ben fatto, la gratificazione dell'«istinto di operosità» che ognuno possiede.
   Zygmunt Bauman

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