A distanza di tre anni dal suo fortunato esordio narrativo con Acciaio (Rizzoli, 2010) è uscito oggi, sempre per Rizzoli, il secondo romanzo di Silvia Avallone, Marina Bellezza.
Ieri sera la scrittrice ha incontrato un folto numero di blogger nella sede milanese del gruppo Rizzoli. Michele Rossi, responsabile della sezione narrativa della casa editrice, ha aperto la serata presentando un video trailer in cui Silvia Avallone mostra i luoghi in cui è ambientato il romanzo: Biella, sua cittadina natale e già capitale dell’industria laniera, di cui oggi restano poche aziende ancora in funzione, fra scheletri di fabbriche chiuse a causa della crisi economica. I protagonisti del romanzo, Marina e Andrea, appartengono alla generazione dei trentenni che, fuggiti dalla provincia per andare a studiare in città (scelta compiuta dalla stessa Avallone, che vive a Bologna), si trovano oggi in bilico tra mondi opposti: quello dei nuovi luoghi di residenza, dove al termine degli studi stentano a trovare una collocazione stabile, e quello della provincia da cui si sono allontanati, ma dove sono tentati di tornare a cercare altre possibilità per un futuro che appare incerto. Un mito del Far West in chiave contemporanea, dove le lunghe strade che si perdono nella campagna tra case, campi e capannoni abbandonati vogliono ricordare l’America amata dalla scrittrice.
Marina, bella e dotata di una magnifica voce, insegue il successo nei locali tentando di approdare alla televisione, mentre Andrea è attirato da un ritorno alla vita solitaria delle valli montane che circondano Biella. A unirli, una storia d’amore che vuole sottolineare il valore dei sentimenti come punto fermo in mezzo a tante incertezze.
Riportiamo un breve resoconto dell’incontro, moderato dalla giornalista Barbara Sgarzi, anche con le domande poste da altri blogger, per restituire a pieno l’atmosfera della serata.
Questa visione dell’amore giovanile è un tuo desiderio o lo avverti tra i coetanei?
Non posso generalizzare ma ho percepito una volontà di tornare all’amore dei nonni, che dicevano “io ti scelgo per passare la vita insieme”. Un modo per essere controcorrente mentre tutto crolla.
Come si fa ad uscire dalla competizione?
In realtà, si può. Marina è l’agonismo fatto persona: pensa che il mondo sia una giungla dove vincere a ogni costo e se ne frega altamente se tutto sta cadendo a pezzi.
Andrea è l’esatto opposto e si chiede perché dobbiamo accettare tutto ciò che ci è stato mostrato come indispensabile. Fa una scelta diversa, ribellandosi ai luoghi comuni del successo a ogni costo, accettando anche eventuali sconfitte
Com’è stato affrontare dal punto di vista emozionale un secondo libro?
Io vorrei togliere il termine “secondo”: ogni libro è un “nuovo libro” in cui si ricomincia da zero. Con Acciaio ho imparato a scrivere una storia e a creare dei personaggi, con questo volevo scrivere una storia diversa. Nel 2009, c’era un’altra Italia, dove sembrava che andasse tutto bene, e io volevo raccontare un mondo ignorato dai media, mentre ora la crisi è evidente.
Il primo romanzo aveva suscitato critiche perché gli abitanti di Piombino l’accusavano di aver descritto in modo molto negativo il luogo e le persone. Pensi che ora riceverai critiche per come hai parlato della provincia?
Io sono nata in provincia e quindi la mia storia e le mie radici sono lì. Amo i posti reali e ci trovo ispirazione, anche facendoli poi diventare delle metafore nella storia. Un romanzo non sarà mai un reportage della realtà, e quindi non sempre le persone ci si potranno riconoscere.
Come hai superato la dicotomia tra l’inevitabilità della competizione nella vita e una sua demonizzazione?
Io non volevo demonizzare la competizione, ma mi piaceva l’idea di raccontare che ci sono altre strade, e persone che ribaltano le categorie del successo in cui siamo cresciuti.
Questo è un momento in cui le strade normali non sono comunque percorribili: io per esempio volevo insegnare, ma ora entrare nella scuola è molto più complicato che ai tempi di mia madre, quando bastava vincere un concorso
Come hai scelto il nome dei personaggi?
Il cognome Bellezza viene dal poeta Dario Bellezza, ma è emblematico della bellezza vera della protagonista. Marina sa di mare, che mi piace molto.
Hai avuto momenti in cui ti sei arenata durante la scrittura?
L’inizio! Hai sempre mille inizi. A un certo punto però i personaggi prendono vita e ti guidano nella storia. Non ho un metodo, non seguo schede o schemi ma lascio che la storia vada avanti da sola, però l’inizio è sempre difficile. In una delle prime prove ero partita dall’infanzia del personaggi, poi ho scartato l’idea.
Qual è il senso che ti ha accompagnato durante la scrittura?
Un senso di liberazione. Mi piaceva l’idea di personaggi che andassero per la loro strada e accettassero la loro condizione di adulti.
Ci sono molte partenze e ritorni. Cos’è più difficile?
Tornare, perché è più facile pensare di andare in un posto migliore, dove trovare la felicità.
Ci si porta però sempre dietro la domanda su cosa sarebbe successo restando a casa.
Dove si sta meglio, allora?
Domanda impossibile. Nel romanzo proviamo a rimanere perché andare via, per esempio all’estero, è troppo scontato.
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Come ti è venuta l’idea un po’ spiazzante e forse maschilista dell’amore vecchio stile?
In realtà in questa storia è Andrea quello che resta a casa ad aspettare, quindi non vedo il maschilismo.
Quali sono i motivi per restare e quelli per andarsene dall’Italia?
Se guardiamo alla letteratura americana, vediamo che è fondamentalmente provinciale. Gli scrittori americani ci raccontano il loro paese, che a differenza del nostro ha grandi spazi, gli stessi che in questo libro ho cercato di dare alla provincia italiana. È giusto sottolineare le qualità dell’Italia e non capisco perché non si possa rimetterla in moto.
Ogni Paese ha delle possibilità, e andarsene è giusto per vedere il mondo, ma si devono sempre fare i conti con il proprio passato.
Cos’hai scoperto scrivendo che ti ha stupito?
Che diventa impossibile giudicare i propri personaggi. Si inizia creandone uno ingestibile ma poi si finisce per capirlo: non lo si condanna e non lo si assolve.
In un ipotetico fantacasting che attori sceglieresti per i personaggi?
Andrea potrebbe essere Pierfrancesco Favino, per Marina non saprei: è una bionda aggressiva con un tocco straniero, creandola pensavo a certe cantanti di successo americane.
Dopo il successo di Acciaio hai un’ansia da prestazione?
No. Le presentazioni di Acciaio in giro per l’Italia mi hanno allontanato dalla storia, e sapevo che non volevo darle un seguito. Quando sono tornata, mi sono chiusa in casa e concentrata sulla nuova storia.
Perché hai descritto delle dinamiche familiari complesse?
Perché sono affascinanti da raccontare. I personaggi non sono più figli vittime della famiglia, ma adulti che vivono fuori, che devono sempre fare i conti con l’eredità di genitori con problemi. Non si possono scusare, ma si accettano le loro mancanze.
Il ritorno è una scelta o una fuga dalla famiglia?
Andrea è un eroe, ma non aggiusta le crepe familiari; Marina pensa di risolvere tutto vincendo, ma non lo fa.
I giovani oggi si sentono traditi?
Il senso di tradimento si avverte di più nella provincia del Nord. Al Sud erano già abituati ad andarsene, mentre al Nord era scontato che si restasse a vivere nella provincia agiata.
Tanti non hanno la forza di andarsene o di ricrearsi una nuova vita, lasciando le certezze dei padri. Andrea sceglie di andare a vivere nella valle remota e spopolata come suo nonno, lontano anche da Biella, lanciando una sfida totale pure alla vita di provincia.