Anna Lombroso per il Simplicissimus
“Increscioso disguido”, hanno spiegato così la loro assenza alla cerimonia ufficiale per il settantesimo anniversario della liberazione della loro città, i dirigenti del Pd di Livorno. Un “problema organizzativo”, hanno detto, della stessa natura forse di quello che ha fatto perdere la maggioranza e la guida dell’amministrazione comunale tradizionalmente di sinistra. O una semplice dimenticanza, appunto, magari quella di appartenere a un movimento che doveva per vocazione e storia rappresentare gli sfruttati e interpretarne la volontà di riscatto, quella di portare rispetto agli uomini e alle donne che hanno dato la vita anche per la loro libertà e che in quella commemorazione dovevano essere onorati, quella che spinge quel partito alla rimozione fino alla distruzione della Costituzione nata dalla resistenza, alla cancellazione dei diritti conquistati allora e diventati anch’essi incresciosi ostacoli alla modernità e alla crescita, all’indifferenza irriguardosa per la nostra storia, per quell’affrancamento da una dittatura sanguinosa che forse sembra loro ormai un esempio da respingere, nascondere, che non venga in mente a qualcuno di trarne una lezione di dignità contro nuovi autoritarismi, nuove repressioni, nuovi fascismi.
Fino a qualche tempo fa l’avremmo attribuito a quella aspirazione a una artificiosa pacificazione ben oltre le manichee distinzioni tra bene e male, in modo che tutti fossero potenzialmente uguali, rei e incolpevoli, innocenti e criminali, fratelli Cervi e Ragazzi di Salò, Berlusconi e no. Oggi ormai non c’è nemmeno questa “disposizione”, non c’è più bisogno di distinguere tra fascismo e antifascismo, considerato da questo giovane o semplicemente scriteriato ceto dirigente, un fastidioso rottame del secolo scorso, un molesto vecchiume, un intralcio polveroso a un cambiamento che impone di disfarsi del passato, dell’edificio di regole, responsabilità, obblighi, doveri, diritti, rappresentanza, partecipazione che si chiama democrazia.
Non stupisce che per il Pd uscire dall’anomalia voglia dire uscire da quel poco che restava della democrazia dopo il ventennio di Berlusconi, favorito dalla latitanza di una imbelle opposizione appiattita nell’invidia dei suoi successi, nell’imitazione delle sue modalità, nell’assoggettamento al suo sogno italiano, appunto per legittimare come naturale il patto del Nazareno dopo che è stata autorizzata l’inazione sul conflitto d’interesse, sulla corruzione, sull’evasione, sulle amicizie e intrinsichezze con i mafiosi, sui sodalizi governative e parlamentari con razzisti e xenofobi, sulle smanie golpiste del piccolo tiranno più deriso per le sue ridicole esternazioni che condannato per i suoi propositi eversivi.
Sono finiti i tempi nei quali l’antifascismo costituiva un tratto comune delle democrazie europee del dopoguerra, pena l’esclusione dalla vita politica, come per una «conventio ad excludendum» che aveva ispirato perfino la destra gollista francese, preferendo perdere le lezioni che allearsi con Le Pen, che in Germania configurava come reato penale negare o ridimensionare lo sterminio del popolo ebreo (così come degli zingari, degli omosessuali, degli handicappati, degli oppositori politici a Hitler), che in Spagna o in Portogallo ha reso impossibile rivendicare il franchismo e il salazarismo. Sono finiti i tempi nei quali l’antifascismo doveva essere l’irrinunciabile orizzonte comune della cittadinanza democratica europea. Forse perché l’intento di chi comanda in Europa e altrove e chi gli ubbidisce lavora per distruggere con le sovranità nazionali, fatte anche della memoria di popolo delle proprie colpe e dei propri riscatti, la democrazie e le sue prerogative, a cominciare dalla carta di diritti e doveri, da libere elezioni nei quali i cittadini possano esprimere scelte stabilendo un patto di fiducia e sancendo l’incarico a rappresentarli di altri cittadini, selezionati in base alla competenza, alla capacità, alla trasparenza e onestà dei comportamenti, dalla tutela dei diritti, dalla protezione di chi vive da fuggiasco, dalla libertà.
La liberazione dalla servitù non piace al Pd, preferiscono assomigliarsi nell’ubbidienza, sentirsi affini nell’arrivismo, essere uniti nell’affermazione di sé e dei propri privilegi, restare smemorati per non dover ricordare la fatica di pensare, di decidere, di ribellarsi, di rischiare, di godere la fierezza e l’orgoglio della libertà conquistata, mantenuta, amata e trasmessa.