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“Incubo nella città contaminata” di Umberto Lenzi potrebbe indurre a facili ironie da espertoni di horror. Cosa succederebbe se, un bel giorno, nell’aereoporto della vostra città atterrasse un velivolo senza identificarsi? Interverrebbe immediatamente polizia – risponderà il nerd di turno – con tanto di esercito armato fino ai denti. E da quell’aereo, come i più svegli avranno immaginato, uscirà inevitabilmente fuori una truppa di assatanati esseri deformi, pronti ad invadare le vostre case, chiese, ospedali ed uffici!
Il primo equivoco da mettere da parte per questo cult di Lenzi riguarda il fatto che si tratti di uno zombi-movie; non è così, di fatto i mutanti sono stati contaminati dalle radiazioni e sono affetti da una fortissima sete di violenza. Per quanto possiedano pecularità simili ai “cugini” morti viventi ed ai “nonni” vampiri (si nutrono pur sempre dei propri simili, anche qui), la loro caratteristica aggressività diventa un tratto estremamente significativo che poi sarà ripreso, con maggiori e differenti mezzi espressivi (ma non necessariamente maggiore sostanza, c’è da dire) dal notissimo 28 giorni dopo.
Di fatto “Incubo sulla città contaminata”, storia dell’Odissea di un giornalista protagonista e della moglie all’interno di un mondo progressivamente attaccato dai feroci contaminati, che compaiono con il volto visibilmente ustionato ed aggrediscono senza pietà con asce, coltelli, fucili e pistole. Queste caratteristiche lo rendono un film con molta azione al proprio interno, nel quale spesso la voce della co-protagonista (Laura Trotter) diventa di fatta voce del messaggio dell’opera: critica agli eccessi del modernismo e flebile speranza di costruire, un giorno, un mondo migliore.
Nel recensire le peculiarità di questo film – a detta di molti, una pietra miliare dell’horror di quel periodo – bisogna considerare dove l’originalità ceda troppo il passo all’auto-referenzialità. Di auto-referenziale credo ci sia poco, a parte che il film si diverte a citare un cinema che piace a certa “gentaglia”. L’originalità è notevole, considerando che rischiava di diventare un’accozzaglia piuttosto anonima se non si fossero presi vari accorgimenti, tra cui il fatto – geniale – di aprire e chiudere sulla stessa falsariga (come avverrà anche in Invaders, ad esempio). Diventa difficile, inoltre, non cadere nella trappola di considerarlo l’ennesimo film di serie Z sopravvalutato, oppure viceversa (non sia mai!) paragonabile ad un’opera con pretese eccessivamente intellettualistiche o sociali. Anzitutto c’è la consueta cinica riflessione sulla crudeltà umana, più che altro sottintesa dalle vicende: queste ultime si svolgono secondo un intreccio da “film di zombi” senza che si possa parlare di protagonisti “morti viventi”, bensì più semplicemente (e cinicamente) “infetti”.
…e l’incubo diviene realtà!
“Incubo nella città contaminata” affianca ad una serie di elementi originali un’altra componente di elementi topici dell’horror 70-80. Sui primi, citiamo questi personaggi deformati che sono di fatto una sorta di vampiri iper-veloci e praticamente indistruttibili (gli zombi classici sono invece molto lenti e si uccidono col classico colpo in testa, con alcune eccezioni e variazioni sul tema). Sui difetti: la contaminazione misteriosa rimane poco chiara, i personaggi sembrano creati un po’ a casaccio, la retorica anti-militarista e sociale potrebbe suonare un po’ vetusta o stonata per alcuni, il sangue a fiumi spesso sembra non strettamente necessario (ad esempio nella celebre scena dell’occhio cavato), la rappresentazione della gerarchia militare in chiave apocalittica appare un po’ troppo già vista (ma siamo pur sempre nei primo anni 80 ed essa anticipa, bisogna riconoscere, ciò che si vedrà anni dopo nel capolavoro romeriano Il giorno degli zombi).
Nonostante i suoi difetti (chi non ne possiede, quando non si tratta di Kubrick o Cronenberg, del resto) rimane senza dubbio alcuno uno dei film che personalmente preferisco. Tutti questi elementi concorrono ad un film perfettamente godibile (oibò, che idea radical-chic!), nonostante le evidente acrobazie della trama: eppure, ripeto, i funambolismi all’italiana della coppia del giornalista e del medico protagonisti di una futura apocalisse credo possano attrarre gli horrorofili anche oggi. In un sito di recensioni bisognerebbe guardarsi – sono sincero – dall’espressione “film tutto sommato godibile”: significa che, molto probabilmente, non apprezzerete per nulla l’opera se non avete idea di chi siano – e cosa abbiano fatto negli anni – Lucio Fulci, Dario Argento, Quentin Tarantino, Robert Rodriguez e Mario Bava. Questo è importante da considerare, a mio vedere, almeno quanto una corretta contestualizzazione della pellicola.