L'ordinanza parlava chiaro: dovevano essere solo lavori di "rimozione delle macerie presenti sul sito" per poi fare indagini sulle fondamenta necessarie a riprendere le attività nel cantiere in totale sicurezza. Invece, dal 28 settembre, furono veri e propri lavori di demolizione di quanto rimaneva delle strutture preesistenti, anche quelle confinanti con lo stabile di via Mura Spirito Santo, nel centro di Barletta, che il 3 ottobre scorso crollò provocando la morte di 4 operaie e una ragazzina di 14 anni. Andavano eseguite con mezzi manuali e di piccole dimensioni, diceva un'ordinanza, invece furono fatte con mezzi meccanici, con un'escavatrice dotata di benna, senza puntellamenti o sostegni per impedire cedimenti.
Carabinieri e polizia hanno arrestato 4 persone, ai domiciliari . Si tratta dei titolari della ditta esecutrice dei lavori, i fratelli Salvatore e Giovanni Chiarulli, rispettivamente di 36 e 39 anni, materialmente a bordo dell'escavatore, dell'altro fratello Andrea, di 44, che li assisteva da terra, e di Cosimo Giannini, 58 anni, committente dei lavori e proprietario del cantiere edile, il quale non fece nulla per impedire quelle operazioni.
Ai tecnici comunali indagati, la guardia di finanza ha notificato un invito a rendere interrogatorio davanti al gip per l'eventuale applicazione di provvedimenti interdittivi: Si tratta del dirigente del settore edilizia pubblica e privata del Comune di Barletta, architetto Francesco Gianferrini; l'ingegnere e il geometra dell'ufficio tecnico del Comune di Barletta che compirono il sopralluogo il 30 settembre scorso nella palazzina poi venuta giù, Rosario Palmitessa e Roberto Mariano, e il vigile Giovanni Andriolo, in forza al settore edilizia della polizia municipale. Dovranno rispondere a vario titolo di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni.
Delle stesse accuse risponde il direttore dei lavori, l'architetto Giovanni Paparella che secondo l'accusa, non avrebbe vigilato sulla regolare esecuzione delle opere da parte dell'impresa Chiarulli. Il tutto nonostante il sopralluogo del venerdì precedente avesse rivelato lesioni murarie allo stabile derivanti proprio dall'attività di demolizione.
Ma in questa storia di mala edilizia e di speculazione ci sono anche altre colpe, secondo il capo della procura di Trani Carlo Maria Capristo e il magistrato titolare dell'inchiesta Giuseppe Maralfa, che hanno fatto notificare in queste ore provvedimenti di interdizione previo però interrogatorio di tutti gli altri indagati. Tra questi l'architetto Gianferrini che, secondo l'accusa, non esercitò i suoi poteri in materia di tutela dell'incolumità, come invece aveva fatto quando si trattò di sgomberare l'altro stabile confinante a quello interessato dai lavori di demolizione, e l'ingegner Palmitessa che non avrebbe verificato quali erano effettivamente le opere che stava eseguendo l'impresa Chiarulli.
Poi le posizioni del vigile urbano Giovanni Andriolo che, pur chiamato ad effettuare un sopralluogo, si rifiutò invitando a contattare un collega nel pomeriggio così come fece il geometra del comune Roberto Mariano. Tra gli indagati c'è anche Savio Cinquepalmi, titolare dell'opificio dove lavoravano a nero le operaie, padre della ragazzina morta. Con il crollo non c'entra nulla, le responsabilità sono nei confronti delle operaie assunte "a nero" e della figlia che si trovava lì per caso quella mattina.