Grazie a dati vecchi più di 30 anni
di Mattia Luca Mazzucchelli
Vuoi vedere com’è fatto l’interno di una mela? Ti basta sbucciarla. Ma per un pianeta o un satellite non è così semplice. Di persona non puoi certo entrarci, se non a minuscole profondità. E anche le trivellazioni raggiungono al massimo qualche chilometro. Peggio ancora se ti occupi di un corpo celeste, anche vicino come la Luna: non puoi mica andar lì a far buchi. Adesso però metodi nuovi applicati a strumenti vecchi permettono di chiarire la struttura interna del nostro satellite.
Nel secolo scorso gli studiosi di geofisica avevano in programma di scoprire la struttura interna della Terra. Non solo per amore della conoscenza, ma per cercare di capire meglio quali fossero i meccanismi profondi alla base di tanti fenomeni, tra i quali i terremoti, causa, allora come oggi, di disastri per l’uomo. Perciò si sono inventati dei sistemi per vedere in profondità senza dover fare nemmeno un buchetto nel terreno. Noi non possiamo raggiungere gli strati profondi del pianeta, è evidente, però possiamo interrogare gli oggetti che vengono da lì: rocce e magma che i vulcani o i movimenti interni ci hanno recapitato in superficie. O, ancor meglio, possiamo usare un bel terremoto.
I terremoti nascono in profondità, in punti precisi detti ipocentri, per poi diffondersi in tutte le direzioni fino a raggiungere la superficie, dove noi li avvertiamo. Non trasportano materia ma energia, sotto forma di onde. Un’onda che viaggia in profondità non è altro che l’oscillazione di particelle: nell’ipocentro del terremoto si libera una grande quantità di energia (in genere per urti o rotture di grandi masse rocciose) che viene trasmessa e fa muovere le particelle più vicine, queste a loro volta urtano le successive e così via fino alle particelle del terreno sotto i nostri piedi. A seconda del tipo di movimento che si propaga, si distinguono due tipi di onde sismiche: le onde P (primarie) e le onde S (secondarie). Se l’interno del nostro pianeta fosse fatto dello stesso materiale e avesse le stesse caratteristiche ovunque (ovvero se fosse isotropo), i due tipi di onde si propagherebbero sempre uguali e senza intoppi in tutte le direzioni. Ma nella struttura ci sono strati differenti e le onde tendono ad accelerare, deviare, sdoppiarsi e rallentare fino anche a fermarsi. Così si trova che al confine tra due materiali diversi le onde vengono riflesse cambiando bruscamente direzione, o che le onde S nei fluidi nemmeno si propagano. Tutto dipende dalle caratteristiche (principalmente la densità e l’elasticità) dei materiali attraversati. Opportunamente interrogate, le onde rivelano che cos’hanno incontrato nel loro viaggio. Per far questo si usano i sismometri per rilevare le onde che arrivano in superficie. Avendo da una parte i dati sperimentali e dall’altra le leggi della fisica, i sismologi hanno compreso come le onde si muovono nel sottosuolo (tramite riflessioni e rifrazioni) e a causa di quali materiali compiono un percorso piuttosto che un altro, giungendo così a una mappatura della struttura interna della Terra.
Ora la Luna è entrata nelle cronache scientifiche come secondo corpo celeste a essere mappato in questo modo. Tra il 1969 e 1972, durante il programma spaziale Apollo, furono lasciati sulla Luna quattro sismometri che raccolsero dati fino al 1977. Le rilevazioni però non hanno portato a risultati certi per molti anni: le stazioni di rilevamento erano poche, i disturbi nei dati molti. Infatti i frequenti impatti di meteoriti sulla Luna danno luogo a piccoli terremoti superficiali che si sovrappongo a quelli profondi (e più importanti per le ricerche) e in più creano fratture sulla superficie lunare che distorcono le onde sismiche.
Gli anni sono passati e sono arrivati computer più potenti e sistemi per ridurre i disturbi che rendevano illeggibili i risultati. Così un gruppo di ricerca franco-americano si è messo al lavoro per rimuovere le grandi incertezze sulla struttura della Luna, in particolare oltre i 500 chilometri di profondità. “L’interno della Luna, e in particolare se ci sia o no un nucleo, è sempre stato un punto oscuro per i sismologi. I dati sismici delle missioni Apollo erano troppo disturbati per descrivere la Luna con sicurezza”, spiega Edward Garnero, della School of Earth and Space Exploration dell’Arizona State University, membro del team di studiosi che ha svolto la ricerca.
In effetti la composizione della Luna era già stata vagamente intuita grazie ad altre misure geofisiche e alle vecchie analisi dei dati. Il modello proposto era a sfere concentriche, con un nucleo parzialmente fuso racchiuso nel mantello e infine coperto dalla crosta. L’idea ora è stata quella di rianalizzare il tutto con un nuovo metodo (array processing), usato già per i terremoti terrestri, alla ricerca di conferme o smentite a quelle supposizioni.
Anzitutto i dati delle quattro postazioni vengono sovrapposti per trovare i segnali registrati da tutte allo stesso modo. Una specie di gioco “trova le differenze” al contrario. Se, per esempio, un’onda sismica raggiunge la separazione tra nucleo e mantello, viene riflessa e l’eco è registrato da tutti i sismometri. Magari sepolto sotto i vari disturbi, ma riconoscibile come segnale autentico perché indicato da tutti. Applicando poi le conoscenze acquisite col tempo sulla Terra, i ricercatori sono riusciti a definire con sufficiente precisione la reale struttura della Luna. Così, ad esempio, osservando che le onde S non penetravano oltre a una certa profondità, si è capito che esisteva uno strato fuso che le bloccava.
Così la vedremmo se potessimo guardare dentro. (Cortesia: NASA)
Secondo questo modello, pubblicato di recente in un articolo on line su “Science”, si parte dal nucleo interno, solido e ricco di ferro con un diametro di 240 chilometri, si prosegue per altri 90 chilometri di raggio con il nucleo esterno fluido e infine, prima del mantello, si incontra uno strato parzialmente fuso spesso 150 chilometri. Potremmo dire allora che questo è il diario di viaggio scritto più di 30 anni fa dalle onde sismiche, dall’ipocentro fino ai sismometri. E il riassunto che i ricercatori ne hanno fatto permetterà anche di comprendere meglio l’origine del campo magnetico lunare, oltre a fornire un’ulteriore prova a favore della teoria che vuole la Luna formatasi a seguito dell’impatto di un grande corpo celeste con la Terra. Infatti il parere di Renee Weber, planetologa del Marshall Space Flight Center della NASA e membro del team di scienziati autori della ricerca, è che “la presenza di un nucleo esterno fuso supporta bene la teoria generalmente accettata del grande impatto, che prevede che la Luna si sia formata in uno stato completamente fuso”.