Quella notte di fine febbraio era piuttosto fredda, ma non era buia perché la luna rischiarava il cielo. Il tenente Luca Faliero osservava la torbiera dove la luna aveva striato d’argento le lame d’acqua su cui galleggiavano le ninfee. Con la luce della luna le montagne dall’altra parte del lago avevano assunto un colore blu meno cupo, ai loro piedi invece il lago era una lontana striscia nera. Luca era affacciato ad una finestra di quel grande palazzo e ripensava all’incarico delicato che gli era stato conferito tre mesi prima, dal colonnello Ottorino Pavese. Il momento era delicato, perché il problema delle parti di Patria ancora irredente era rovente. Poi con l’inizio dell’anno 1866, la tensione con l’Austria si era di nuovo bruscamente acuita ed una guerra avrebbe potuto scoppiare a breve. In Lombardia, non proprio tutti, erano felici di far parte del nuovo regno d’Italia che si era finalmente costituito pochi anni prima. Alcuni nobili, che nel passato erano stati legati alla monarchia Asburgica, avevano perso gli antichi privilegi ed in caso di un nuovo conflitto speravano in una qualche forma di restaurazione. I servizi riservati dell’Arma sapevano che il conte Giovanni Provaglio era uno di questi. Infatti fino alla tragica rivolta delle dieci giornate, del marzo 1849, il conte era stato un grande amico del colonnello Julius Haynau, comandante austriaco della piazza di Brescia, assiduo frequentatore del suo palazzo. Dopo di allora i loro rapporti si erano apparentemente interrotti, ma l’Arma sospettava che non fosse proprio così. Infatti il conte, con la guerra del 1859, aveva perso la gestione e le rendite dei terreni di un antico convento, annesso al suo palazzo, che prima della guerra era di proprietà dell’Arcivescovato di Innsbruck. Adesso convento e terreni erano in fase di confisca da parte dello stato italiano. Luca era stato incaricato di svolgere, in modo discreto, delle indagini per controllare quelle voci. Dato che suo zio Costantino vantava molteplici conoscenze anche nella nobiltà bresciana, Luca era stato introdotto in quell’ambiente in occasione della festa di fine anno che si era tenuta al Teatro Grande di Brescia. Quella sera era stato presentato al conte Provaglio. La cosa in realtà non gli era affatto dispiaciuta, perché il conte era giunto alla festa accompagnato da una bella pronipote di nome Isabella. Per l’occasione la giovane sfoggiava una graziosa acconciatura all’insù, della folta chioma bruna, fissata con un diadema. Luca non era insensibile al fascino femminile e dato che, in realtà, aveva il compito di apprendere più cose possibili su tutte le attività del conte, aveva impunemente corteggiato Isabella per tutta la sera. Luca era giovane e di aspetto piacevole ed anche Isabella aveva gradito la compagnia di quel bel tenente. Come molte giovani donne, anche lei non era sembrata indifferente al fascino della sua divisa. Luca congedandosi le aveva promesso di trovare al più presto un’occasione per rivederla.
Erano trascorsi quasi due mesi e Luca, fingendosi di passaggio, mentre si recava per una non meglio precisata missione sul lago d’Iseo, assieme all’appuntato Leone Decarolis, suo fido aiutante, si era presentato al grande palazzo del conte. Effettivamente quel palazzo si compenetrava, in modo abbastanza strano, con un vecchio monastero e si affacciava sulla torbiera, molto vicino alla sponda orientale del lago d’Iseo. Quel pomeriggio, arrivando, Luca aveva avuto l’impressione che si trattasse di un insieme di costruzioni piuttosto malandate, quasi che il conte non avesse più molto denaro da spendere. Anche i servitori sembravano pochi ed anziani. Il chiostro dell’antico convento costituiva parte della facciata posteriore del palazzo stesso e si affacciava sulla torbiera. A suo tempo i monaci che lo abitavano, dipendevano dal Vescovo di Innsbruck, ma ormai i tempi erano cambiati, vi risiedevano solamente tre anziani monaci, alla morte dei quali, il convento sarebbe stato definitivamente confiscato, destinato a divenire patrimonio dello stato italiano. Il conte Provaglio non si era mai sposato e viveva in quel grande palazzo, insieme ad un anziano cugino, di nome Pasquale Rossetto, commerciante di vino che, rimasto vedovo, si era trasferito in quel palazzo con la figlia Isabella. L’arrivo di Luca non aveva destato troppa meraviglia, perché quel giovane ufficiale di bell’aspetto aveva corteggiato Isabella durante tutta la sera della festa e lei quella visita sembrava aspettarsela. Il conte Provaglio aveva ricevuto Luca con estrema cortesia invitandolo a cena e poi a fermarsi da loro per la notte. Nel pomeriggio Isabella gli aveva fatto da guida e gli aveva fatto visitare il vecchio convento. Alla cena era presente anche un altro ospite, il barone Giancarlo Federici, anche lui commerciante di vino, amico di vecchia data del conte e di suo cugino. Durante la cena, naturalmente, tutti avevano parlato della difficile situazione politica e del timore di una nuova guerra con l’Austria. Utilizzando i sottili trucchi dialettici imparati da suo zio Costantino, che era un raffinato diplomatico, Luca aveva cercato di far parlare il conte, ma Giovanni Provaglio non era caduto in nessuna trappola, anzi si era mostrato abbastanza indifferente, quasi che i nuovi sussulti politici ormai non lo riguardassero più. Terminata la cena, invece il conte aveva invitato gli ospiti al tavolo da gioco, perché era un accanito giocatore. I giochi d’azzardo erano il suo debole, e forse ormai anche il suo unico sostentamento. Molti nobili della zona ne avevano fatto le spese. Luca di questo era stato informato ed aveva cortesemente rifiutato l’invito. Era rimasto a conversare, con la graziosa pronipote del conte, centellinando la grappa prodotta dal convento, mentre i tre uomini si erano immersi in una lunga partita a carte. Isabella sapeva conversare in modo colto e piacevole ed amava le schermaglie del corteggiamento. Però dopo un paio d’ore trascorse con Luca, durante le quali gli aveva gli permesso di chiederle in quale ala del palazzo lei avesse la sua stanza, sapendo che le belle donne dovevano sempre farsi desiderare a lungo, si era bruscamente congedata da lui. Luca aveva perfettamente compreso il comportamento di Isabella ed aveva accettato la piccola sconfitta con un sorriso. Poi aveva salutato i tre giocatori e si era ritirato anche lui nella stanza che gli era stata preparata. In realtà non aveva affatto avuto l’impressione che il conte fosse ancora invischiato in trame politiche, gli era sembrato invece una persona in grande declino, che si trovava ormai a vivere in un mondo molto diverso, molto cambiato, rispetto ai tempi della sua giovinezza. Anche il palazzo sembrava andare lentamente in rovina e molti arredi dovevano essere stati venduti, come mostravano i segni sulle pareti da cui erano stati sicuramente rimossi dei quadri. Anche il convento, in cui si aggiravano ormai solo i tre anziani monaci, mostrava di essere arrivato alla fine di un ciclo di vita. Forse le preoccupazioni del colonnello Ottorino Pavese erano eccessive e quel conte era ormai fuori da ogni gioco, ormai lontano da ogni complotto. Se le cose stavano così, la sua era stata una visita inutile, a meno di non valutare positivamente la presenza di Isabella, che gli aveva tenuto compagnia, purtroppo solo per una parte della notte, ma che era sembrata gradire il corteggiamento. Luca stava fumando un sigaro ed in verità, più che concentrarsi sul rapporto che avrebbe dovuto presentare al colonnello, lasciava scorrere i pensieri su come trovare il modo di rivedere Isabella.
Il primo colpo di pistola, secco ed improvviso, nel silenzio della notte, lo colse quindi del tutto impreparato. Mentre bruscamente la sua attenzione si risvegliava, vi fu un secondo sparo, poi tutto tornò silenzioso. Gli spari provenivano dalla destra, rispetto alla finestra a cui Luca era affacciato, dalla parte in cui il terreno dirupato scendeva verso la torbiera e dove vi era la strada che portava verso il paese. Luca balzò in piedi: doveva controllare subito! Due colpi di pistola nella notte avevano un brutto significato! Si infilò la giubba mentre si precipitava alla porta della stanza per uscire. <<Leone!>> gridò mentre ormai stava correndo nel corridoio <<Leone, alzati di corsa, vieni con me!>> Intanto era giunto al fondo del corridoio e tempestava di pugni la porta della stanza dove dormiva l’appuntato. Leone Decarolis comparve sulla porta con il viso un po’ stralunato, mentre si rialzava le bretelle dei pantaloni. Da molto tempo aveva imparato ad avere la massima fiducia nel tenente, con cui formava una coppia ben affiatata. Non fece domande, ma rispose solamente: <<Comandi signor tenente!>> Poi rientrò nella stanza per terminare di vestirsi in un lampo. Pochi minuti dopo entrambi correvano sul prato scosceso in mezzo agli alberi. Leone reggeva una lampada a petrolio. Scivolavano sull’erba umida del parco ed inciampavano in diversi ostacoli, poi finalmente ritrovarono la strada in terra battuta. Da lontano videro la sagoma scura di un cavallo, fermo vicino ad un’altra massa scura. Luca smise di correre e cominciò ad avanzare più cautamente. Intanto alle loro spalle, svegliati forse dagli spari, ma anche allarmati dal notevole trambusto fatto dai due carabinieri mentre uscivano di corsa dal palazzo, erano in arrivo dei servitori, anche loro muniti di lanterne a petrolio. Luca e Leone si arrestarono di fronte alla massa scura che ora, alla luce della luna si era rivelata essere una fontana, con un piccolo bacino d’acqua contornato da un muro di pietra. L’acqua, scorrendo, rompeva il silenzio con un lieve rumore. Poco più avanti vi era il corpo d’un uomo steso a terra. Leone alzò la lampada per illuminarlo: sulla schiena dell’uomo, dove era stato raggiunto dai due colpi di pistola, vi era una grossa macchia di sangue. Luca girò attorno al corpo cercando di individuare delle possibili tracce. Qualcuno sembrava aver frugato nelle tasche dell’uomo che erano rovesciate. A terra erano rimasti alcuni nichelini. <<L’hanno ucciso per rapinarlo.>> disse Leone mentre appoggiava la lanterna sul muro di pietra della fontana. Luca, che si era chinato sul corpo dell’uomo, con delicatezza lo girò. La giacca di aprì rivelando una nuova grossa macchia di sangue dove i proiettili, sicuramente di grosso calibro, erano fuoriusciti. Il volto dell’uomo, pur contratto nello spasimo della morte, era ben riconoscibile. <<E’ il barone Federici!>> esclamò Leone. <<Sì>> gli fece eco Luca <<E’ proprio lui...>> Poi restò in silenzio, continuando ad esaminare il morto ed il terreno circostante. <<Forse dei briganti gli hanno teso un agguato nascosti dietro al muro della fontana.>> commentò a voce alta Leone. <<Probabilmente lo stavano aspettando>> rispose Luca, fece una pausa, poi riprese: <<ma di certo, il barone ha incontrato dei rapinatori molto strani...>> Il dito indice di Luca indicava a Leone il panciotto del barone da cui spuntava la catena d’oro di un orologio. Leone si chinò per guardare meglio, ma poi il dito indice di Luca si spostò rapidamente in alto, trasversale sulle labbra, perché alcuni servitori erano giunti anche loro alla fontana, portando diverse altre lampade. Alla vista del morto tutti erano ammutoliti. <<Che posto è questo?>> chiese Luca senza rivolgersi a nessuno in particolare. <<E’ il “fontanì”.>> rispose un cameriere che sembrava il più anziano tra i presenti <<Segna il confine del parco del signor conte.>> Luca fece ancora un paio di giri dietro alla fontana, ma vi erano solo tracce confuse. Poi diede ordine a Leone di sovrintendere al trasporto del cadavere del barone Federici al palazzo ed incaricò uno stalliere di ricuperarne il cavallo. Terminate quelle incombenze lasciò il “fontanì”.
Luca risalì lentamente verso il palazzo, camminando a testa bassa, osservando attentamente la strada che il barone doveva aver percorso poco prima, cercando di trovare dei possibili indizi. Lo stalliere lo seguiva tenendo per la cavezza il cavallo del barone. Arrivarono alle stalle e Luca si fermò per parlare con lo stalliere. <<Hai visto il barone quando ha lasciato il palazzo?>> chiese Luca. Lo stalliere lo guardò per alcuni istanti, poi assentì in silenzio. <<E’ successo qualcosa di strano mentre il barone lasciava il palazzo?>> chiese ancora Luca. <<Vi era qualcuno con lui?>> <<No, era solo.>> rispose lo stalliere che mostrava un evidente disagio, vedendosi interrogato da un ufficiale dei carabinieri, poi però aggiunse: <<Aveva bevuto un po’. Beve sempre quando viene a trovare il signor conte. Ha fatto un po’ fatica a mettersi in sella, è finito anche a terra, ma poi l’ho aiutato a rimontare e se n’è andato senza dire nulla. Tutti uguali i signori, mai nemmeno un grazie...>> Poi tacque bruscamente, forse temeva di aver detto una parola di troppo, forse era rabbioso per aver dovuto alzarsi nel cuore della notte. Infine disse: <<Se non ha più bisogno di me, io vado...>> Luca gli fece un cenno di congedo e lo lasciò andare. I cavalli si muovevano irrequieti, per la presenza di un estraneo nella stalla. I loro zoccoli rivoltavano la paglia ed il letame. Luca cercava di rivedere la scena del barone alle prese con il tentativo di montare in sella. Dopo avergli sparato, qualcuno gli aveva frugato in tasca, probabilmente alla ricerca di “qualcosa”. D’un tratto gli venne alla mente l’idea che forse, il barone, quel “qualcosa” poteva anche averlo perso nella stalla. Cominciò a frugare, con la punta dello stivale, in mezzo alla paglia, nella zona dove presumibilmente il barone poteva essere caduto. Sembrava un compito difficile e forse inutile. Si spostò allargando la ricerca. I suoi stivali frugavano tra la paglia e lo sterco. ... Invano... Poi ad un tratto vide il bordo di un sottile portacarte di pelle emergere sotto la paglia sporca. Con un certo disgusto lo raccolse e cercò di ripulirlo. Che razza di indagine di m... Stava albeggiando quando Luca rientrò nell’atrio del palazzo, dove l’appuntato era rimasto in attesa. <<Leone, vedi di scoprire se, passando dal retro del palazzo, dove c’è il chiostro del convento, si può arrivare alla fontana senza passare per l’atrio. Dobbiamo cercar di capire se qualcuno abbia potuto uscire, tendere l’agguato e rientrare senza essere visto. Dopo torna nella mia stanza.>> <<Comandi signor tenente.>> aveva risposto Leone e si era allontanato di corsa. Luca era rientrato in camera sua, per ripulire il portacarte che aveva trovato, esaminarlo e ripulirsi dopo quella sgradevole ricerca nella stalla. Dopo meno di due ore Leone ricomparve con gli occhi che gli brillavano. <<Ho trovato la porta per uscire dal chiostro e passare nel parco! Rimane spesso aperta! Me l’ha spiegato un monaco. Ma c’è di più signor tenente, il monaco che ho incontrato, era già nel chiostro dopo le preghiere del mattino e mi ha dato questa!>> Leone allungò verso Luca un fazzoletto bianco in cui era avvolta una grossa pistola a tamburo, molto simile al modello 61. <<Ho cercato di non cancellare delle possibili tracce, però ho visto che al tamburo mancano due colpi. Qualcuno deve averla usata e poi gettata nel giardino, forse per ricuperarla più tardi...>> spiegò ancora Leone. <<Chi l’ha gettata via, certo non pensava che quel monaco la ritrovasse così presto. Adesso abbiamo l’arma del delitto, solo che non sappiamo chi l’ha usata! Potrebbe essere stato chiunque! Speriamo bene!>> rispose Luca <<Adesso riprendi fiato e tieni quest’arma avvolta nel fazzoletto. Ci vediamo tra un’ora nel salone del palazzo, dove intendo interrogare tutti quelli che, ieri sera, erano in casa. Tu mostrerai la pistola quando sarà il momento. Adesso vai!>> Appena Leone si fu allontanato Luca chiamò un cameriere e gli ordinò di convocare nel salone, tutti i presenti nel palazzo, servitù e monaci compresi.
Erano circa le otto della mattina quando Luca entrò nella grande sala al piano terra del palazzo. Il conte Giovanni Provaglio indossava ancora una vestaglia, come se fosse stato appena tirato giù dal letto, suo cugino si era invece rapidamente rivestito, anche se i radi capelli bianchi non ravviati gli stavano scomposti sul capo, sua figlia Isabella, che sembrava alquanto turbata, sedeva in un angolo stringendosi addosso uno scialle. La stanza era molto fredda ed il maggiordomo stava chino sul grande camino, cercando di ravvivare il fuoco. I camerieri, i servi, lo stalliere, si erano tutti ammucchiati, con aria preoccupata in un angolo, mentre i tre monaci che ancora abitavano il vecchio convento restavano silenziosi vicino alla porta che conduceva al chiostro. Il conte, che appariva molto irritato, appena vide il tenente, pensò bene di sfogare su di lui il suo malcontento. <<Signor tenente, siamo stati informati di quanto accaduto al povero barone Federici mentre rientrava a casa. Ecco il bel risultato della politica liberale del nostro governo! La gente perbene viene rapinata ed assassinata! Forse anche lei dovrebbe interessarsi di più di chi gira per le nostre campagne e meno di quanto accade a Vienna.>> Luca lo lasciò finire, poi gli chiese con aria fredda: <<Mi è d’obbligo porvi una domanda signor conte, avete delle pistole in casa?>> Il viso del conte divenne rosso fuoco. <<Dovreste controllare chi di dovere! Lo sapete che vi sono in giro molti sbandati? Molti seguaci di quel senza Dio di Garibaldi, circolano liberamente e molti sono ancora armati! Spaventano le nostre donne, compiono furti...>> Luca continuò a guardarlo freddamente senza dire nulla. Il barone sembrò calmarsi, poi riprese a parlare con più condiscendenza. <<Certo che abbiamo anche noi delle armi, come tutti i gentiluomini!>> Si diresse al grande scrittoio che vi era in un angolo della sala, aprì un cassetto e ne trasse una lucida scatola di legno che aprì. Dentro vi era una bella coppia di pistole da duello ad un colpo. La scatola conteneva anche una fiaschetta di polvere da sparo, alcune palle di piombo ed un calcatoio. Luca si avvicinò per osservare le pistole. Un sottilissimo strato di polvere le ricopriva, il grasso con cui erano state lubrificate appariva secco e giallo scuro, sembrava che non fossero state usate da molti anni. Per scrupolo Luca si chinò ad annusare le canne. <<Come potete ben vedere, nessuno le ha usate da molti anni a questa parte.>> disse ancora il conte girando la testa verso il cugino per averne un assenso. Pasquale Rossetto si affrettò a precisare: <<Mai più usate dai tempi del quarantotto!>> Luca fece un cenno di assenso, poi chiese ad entrambi: <<Vi ricordare a che ora il barone ha lasciato il palazzo?>> Il conte lasciò che fosse ancora Pasquale a parlare. <<Sarà stata la mezzanotte, come sempre. E’ andato via al termine della partita a carte.>> <<Fino alla stalla l’ho accompagnato io>> precisò il maggiordomo che aveva fatto un mezzo passo in avanti, forse contento di avvalorare quanto avevano detto i signori. <<Gli ho fatto luce fino a quando abbiamo incontrato lo stalliere che gli ha sellato il cavallo.>> <<Qualcuno di voi possiede altre pistole?>> chiese ancora, con aria severa, il tenente Faliero guardando verso i domestici. Tutti si agitarono un poco, ma tutti negarono. Poi uno dei tre monaci fece un passo in avanti. Aveva l’aria di essere molto imbarazzato. <<Io veramente un’arma... io l’ho trovata... era abbandonata nel giardino del chiostro... però l’ho consegnata subito al signor carabiniere!>> Con la mano indicava timidamente l’appuntato Decarolis. Mentre tutti si giravano a guardarlo, Leone mosse alcuni passi e, con aria che risultò un po’ teatrale, depose l’involto che conteneva la pistola sul piano dello scrittoio. Dopo un attimo di silenzio Pasquale Rossetto sbottò. <<Ma nessuno di noi ha mai visto questa pistola. Potrebbe essere di chiunque!>> Sia lui che il conte si erano avvicinati allo scrittoio per guardare meglio. <<E’ vero>> convenne Luca <<non sappiamo nulla di questa pistola. Non possiamo ancora dire se sia l’arma del delitto, non sappiamo neppure se é carica.>> Con aria indifferente Luca girò le spalle allo scrittoio. Poi si rivolse ai camerieri: <<Qualcuno di voi ha già visto quest’arma?>> Tutti si strinsero nelle spalle senza rispondere nulla. Isabella ritenne di intervenire e mentre parlava le labbra le tremavano un po’. <<Tenente, ma noi eravamo insieme. Mio padre ed il conte giocavano a carte. Nessuno di noi è andato nel chiostro! Come ha già detto lei, noi non sappiamo nulla di questa pistola.>> Luca sembrò ricordarsi di qualcosa e rivolto ai due cugini disse: <<E’ vero voi giocavate a carte. Mi scuso ancora per ieri sera, io non sono un buon giocatore e vi ho lasciato in tre... forse vi ho impedito di fare una partita di bridge.>> <<Oh, non si preoccupi!>> rispose Pasquale <<Il bridge è così noioso!>> Luca adesso sembrava interessato ai giochi delle carte. <<Cosa si può giocare in tre?>> <<Ma... non saprei, zecchinetta, settemmezzo...>> erano i ben noti giochi d’azzardo e Pasquale Rossetto improvvisamente si zittì. Alcuni di quei giochi erano stati vietati nei locali pubblici. Luca sembrò fare una domanda ingenua. <<Si può perdere del denaro?>> i due cugini fecero una faccia indifferente, ma ad tratto la voce di Luce divenne più tagliente. <<Signor conte ieri sera lei ha vinto o perso?>> <<A volte si vince a volte si perde.>> rispose con noncuranza il conte. Luca che voltava sempre le spalle allo scrittoio, estrasse di tasca il sottile portacarte che aveva ricuperato nella stalla. <<Nella stalla ho trovato questo...>> Il conte adesso taceva, ma era diventato pallido. Le dita di Luca estrassero con delicatezza un foglio dal portacarte. <<Questa sembra una cambiale, un pagherò in favore del barone Federici.>> Si chinò in avanti come per guardare meglio: <<La cifra scritta a me pare enorme: centotrenta lire! Ma non mi è chiara la firma del debitore...>> Il conte Provaglio aveva fatto un balzo in avanti cercando di afferrare la pistola deposta sullo scrittoio. Anche Leone però si mosse velocemente. Le sue forti braccia scattarono in avanti, i suoi grossi polsi guizzarono fuori dalle maniche della giubba e le sue mani si strinsero su quelle del conte che cercavano di impugnare la pistola, liberandola dal panno che l’avvolgeva. <<Basta così signor conte, la firma sul pagherò è chiaramente la vostra.>> La voce di Luca ora si era fatta severa. <<Ma poi, con il vostro gesto, voi ci avete chiaramente indicato anche il proprietario dell’arma del delitto!>>
Era di nuovo mattina ed il pallido sole di fine febbraio creava lievi lame dorate sulle acque della torbiera. Luca e Leone erano pronti per lasciare definitivamente il palazzo del conte Provaglio e far ritorno a Torino. Luca sembrava di umore tetro. Dopo la scena movimentata della mattina precedente, Leone aveva messo le manette al conte, che poi, in una carrozza chiusa, era stato immediatamente trasferito a Brescia e consegnato al magistrato di giustizia che ne aveva convalidato l’arresto. Luca aveva steso un primo rapporto e finalmente a tarda sera erano tornati al palazzo del conte per ricuperare le loro cavalcature. Rientrato a Torino, Luca avrebbe dovuto fare un lungo e dettagliato rapporto anche al burbero colonnello Pavese. Forse anche per questo aveva l’aria vagamente triste. <<Avete avuto un bel coraggio, signor tenente a volgere le spalle al tavolo.>> gli disse Leone, trovando finalmente il momento opportuno per parlare più liberamente. <<Se il conte fosse riuscito ad afferrare la pistola, vi avrebbe sicuramente sparato!>> Luca ritrovò il sorriso. <<Sapevo che lo tenevi d’occhio>> rispose <<e so che tu sei molto più veloce di me!>> Leone, visto che il tenente sembrava ritornato di luna buona, riprese a parlare senza remore. <<Però se avessimo portato i nostri cavalli, legati dietro alla carrozza, avremmo potuto ripartire per Torino già ieri sera. Ora ci aspetta un viaggio più lungo, inoltre ci saremmo risparmiati la cena di ieri sera. Il cugino del conte era funereo ed anche la signorina Isabella sembrava molto triste...>> Però mentre diceva queste ultime parole ebbe l’improvvisa sensazione di aver capito qualcosa d’altro. Di colpo restò in silenzio, senza più guardare Luca. Poi però quando alzò gli occhi vide che lui sorrideva. Prese il coraggio a due mani e disse tutto d’un fiato: <<Però non credo che la signorina Isabella avrà molto spazio nel vostro rapporto. Intendo il rapporto che dovrete fare al signor colonnello.>> Il colonnello Ottorino Pavese era il potente e severo capo dei servizi riservati dell’Arma: un uomo temuto da tutti quelli che l’avevano conosciuto. Aveva occhi azzurri, in un volto quasi angelico, dalla pelle liscia ed apparentemente ancora giovane, ma quando comandava i suoi occhi mandavano lampi di ghiaccio. Leone era convinto che anche il tenente Luca Faliero si trovasse a disagio in sua presenza. Luca ora gli sorrise più apertamente. <<Effettivamente il signor colonnello mi aveva incaricato di dare la caccia ad una spia ed io invece ho solo smascherato un nobile ormai senza più denaro, forse un baro, che alla fine della sua carriera, purtroppo, è diventato anche un assassino. Temo proprio che non sarà molto contento di me!>> Nel fare questa ammissione Luca sembrava decisamente sincero. <<Però dopo l’inverno torna sempre la primavera...>> Leone guardò il tenente con aria interrogativa. <<A maggio avrò diritto ad un breve periodo di licenza.>> precisò Luca <<Credo che per quel periodo la signorina Isabella avrà già lasciato questo tetro palazzo e si sarà già trasferita in centro al paese, dove mi ha detto d’avere altri cugini. Forse tornerò su questo lago.>> Detto questo Luca montò in sella e prese ad allontanarsi dal palazzo, senza più interessarsi a Leone che, sentendo di essere stato un po’ troppo invadente, era alquanto arrossito. Anche Leone montò in sella e lo seguì senza più parlare. Dopo poco però, non seppe resistere e si girò sulla sella per guardare indietro. Durò solo per un attimo, ma Leone ebbe la fugace visione di una ragazza bruna che, seminascosta da una tenda, li stava osservando da una finestra del palazzo.