Magazine Cultura
di Samantha Lombardi
Il Tāj Mahal, capolavoro dell’arte musulmana in India, è uno dei monumenti più conosciuti del mondo e costituisce l’apice dell’architettura sepolcrale islamica. Fu voluto da Shāh Jahān, imperatore dal 1628 al 1658, appartenente alla stirpe islamica dei Moghul e discendente delle tribù mongole comandate da Attila e Gengis Khan.
Nel 1526, il condottiero Moghul, Bāber arrivò in India dall’Asia Centrale e dopo aver rimosso la dinastia musulmana, che da più di trecento anni vi regnava, fondò il suo impero stabilendo la sua capitale ad Agra, a sud di Delhi, non lontana dal deserto del Rajasthan. In quella città, che era appena stata sottratta al Clan guerriero indiano dei Rajputi, Bāber intraprese dei lavori per creare un parco che chiamò Rambagh, fece, inoltre, scavare un pozzo e deviare le acque del fiume Jumna per alimentare canali, terme e fontane. Con i suoi giochi d’acqua, i sentieri simmetrici e le innumerevoli distese di fiori, il Rambagh divenne il modello di tutti i giardini moghul compreso quello del Tāj Mahal . Tutti gli imperatori che succedettero a Bāber continuarono la sua opera. Non fu però unicamente il rispetto della tradizione a far nascere il Tāj Mahal , un’opera alla cui origine sta il grande amore che un uomo nutriva per la sua donna, in realtà, Shāh Jahān fece edificare questo capolavoro senza eguali come mausoleo per la moglie Arjumand Banu, più nota con l’appellativo (da cui l’edificio prende il nome) di Mumtāz Mahal, morta dopo aver dato alla luce una bambina, il suo quattordicesimo figlio, seguendo il marito in una campagna militare nel sud dell’India.
Sei mesi dopo la morte della regina, avvenuta a Burhanpur nel 1631, il suo corpo venne portato ad Agra e fu collocato temporaneamente in una cripta vicino alla località destinata per l’edificazione della tomba definitiva che, negli intenti di Shāh Jahān, doveva essere il più singolare monumento mai costruito per una donna.
Molti dubbi e poca certezza sul progettista del Tāj Mahal, ma la leggenda vuole che a realizzarlo sia stato l’architetto Ustād ‘Isā. Si narra che, al completamento dei lavori, Shāh Jahān abbia fatto tagliare le mani ai capomastri, accecare i calligrafi e decapitare l’architetto perché nessuno di loro potesse più creare un secondo edificio simile. Ugualmente prive di fondamento sono le congetture secondo cui il monumento, in perfetto stile indo-persiano, sarebbe stato disegnato da un europeo. Aldilà delle analisi stilistiche e all’infondatezza delle fonti, su cui queste ipotesi si appoggiano, è inammissibile l’idea che un architetto cristiano possa aver ricevuto l’incarico di costruire un edificio il cui ingresso (fino all’occupazione inglese) era proibito ai non musulmani, i quali, se disobbedivano al divieto, venivano condannati a morte. In aggiunta Mumtāz Mahal, come testimonia l’iscrizione che orna il suo sarcofago, era stata un’acerrima nemica del cristianesimo e aveva spinto Shāh Jahān a massacrare i portoghesi che si erano stanziati a Hooghly (oggi Calcutta).
Secondo l’ipotesi di altri studiosi l’ideatore più probabile fu, il persiano, Ustād Ahmad Lahori che, in precedenza, aveva già ricevuto da Shāh Jahān l’incarico di disegnare alcune delle sue opere più grandiose in realtà, molto prima dell’ascesa al potere di Shāh Jahān, gli scalpellini indiani erano famosi in tutto l’Oriente per la loro non comune capacità nel lavorare la pietra.
Sebbene la dimostrata capacità delle maestranze locali, l’imperatore, fece arrivare ad Agra artigiani provenienti da tutta l’Asia: dalla Turchia, Ismail Afandi, che creò la gigantesca cupola del mausoleo; da Lahore, (nel Pakistan) un esperto gioielliere che ebbe l’incarico di modellare in oro la cuspide della cupola; da Delhi, validissimi mosaicisti; ma gli artisti venuti dalla Persia, e in particolare da Bagdad e da Shiraz, furono determinanti nel dare al Tāj Mahal il suo singolare stile misto, indiano e persiano. In particolare, da Shiraz, fu chiamato Amamat Khan, famoso maestro di calligrafia, che decorò la facciata e la cripta del mausoleo con iscrizioni in caratteri arabi. Le iscrizioni che ricoprivano le nicchie, gli archi, le cupole, i portali e i minareti riproducevano, da più di un millennio, un motivo tipico dell’arte musulmana che impiegava i segni eleganti della scrittura per definire lo spazio architettonico e, soprattutto, per offrire agli occhi dei fedeli alcuni brani dei testi sacri islamici.
I lavori, iniziati nel 1631, continuarono senza interruzione per diciassette anni e richiesero il lavoro di oltre ventimila operai. Per ospitarli tutti nacque, davanti al cantiere, un piccola città che prese il nome di Mumtāzabad in onore della regina scomparsa. Questa città si sviluppò con una prosperità tale da diventare più importante della stessa Agra. Con l’inizio della realizzazione della tomba, a Mumtāzabad, cominciarono ad arrivare numerose file di carri che trasportavano i diversi materiali da costruzione, come: il tufo rosso e il marmo bianco; pietre rare quali: la giada e il cristallo; ma anche: il turchese, i lapislazzuli e il crisolito; nonché: le conchiglie, il corallo e la madreperla.
Il Tāj Mahal sorge all’interno di un grande giardino a pianta quadrata forma preferita dall’architettura islamica e simbolo della perfezione divina. Attraverso la porta si entra nel caravanserraglio, collegato al mausoleo, e si giunge al portale del giardino, un’enorme costruzione in arenaria rossa valorizzata da arabeschi e iscrizioni coraniche sapientemente realizzate con lettere di marmo bianco, con torri ottagonali e undicichattri come fastigi. I quattro viali, straordinariamente larghi, tagliati dai canali, si incontrano al centro del giardino in una vasca di loto: i due orizzontali si connettono, nella cinta muraria, ad altrettanti padiglioni d’acqua mentre, i due verticali, ornati da una serie di fontane, ingrandiscono l’asse di contatto al monumento anticipato nel riflesso dei canali. Il giardino geometrico, che circonda il mausoleo, è dominato dalla grande fontana centrale nelle cui acque si riflette la cupola del mausoleo. Il parco fu chiaramente progettato sul modello del giardino persiano che prevedeva l’inserimento degli elementi naturali in una struttura artificiale creata dall’uomo.
Due moschee, in arenaria rossa e cupole di marmo bianco, fiancheggiano il Tāj Mahal: la struttura occidentale, con tre cupole e i pennacchi incorniciati da arabeschi di pietra dura, ha il soffitto interno coperto da affreschi, mentre, quella orientale, perfettamente simmetrica all’altra, non fu mai usata per il culto e serviva probabilmente per la sola funzione estetica; sul retro di queste moschee una terrazza con un edificio secondario, si affaccia sul fiume Yamuna. Sull’alta piattaforma, rivestita di marmo bianco, con la parte frontale di 94 metri, si erge un cubo di 57 metri di lato con gli angoli tagliati che gli danno la sagoma di un ottagono.
Il mausoleo, vero e proprio, è la grande struttura centrale. Sormontato da una cupola, di 26 metri di altezza e 18 metri di diametro, poggia su un alto tamburo rettangolare, di arenaria rossa, alto 7 metri e delimitato, ai quattro angoli, da altrettanti chattri di 42 metri d’altezza creati per dare slancio verticale all’insieme e concluso da un fiore rovesciato che regge un pinnacolo dorato a doppio vaso motivo ripreso anche sulle chattri. I minareti, collocati agli angoli della piattaforma, delimitano lo splendido mausoleo.
Sulle quattro facciate principali, di 33 metri di altezza, si aprono gli imponenti ingressi con catini absidali amuqarnas . La struttura del mausoleo, realizzata in mattoni, è interamente rivestita da lastre di marmo bianco in cui raffinatissima è l’ornamentazione che comprende nicchie, stalattiti, pannelli con tralci di fiori in rilievo, scritte coraniche in marmo nero, motivi a onda policromi, arabeschi e intrecci floreali ottenuti con finissimi intarsi di pietre dure e preziose quali: topazi, zaffiri, corniole, diaspri, crisoliti ed eliotropi.
“Quando la tomba venne terminata l’imperatore adagiò sul feretro della moglie i diamanti più preziosi del suo tesoro e fece stendere sul sarcofago un mantello di perle. Il sepolcro fu poi circondato da una balaustra d’oro e i pavimenti dell’intera stanza furono ricoperti da pregiatissimi tappeti di fattura persiana e moghul. Centinaia di candelabri d’argento e altrettante lampade d’oro furono appesi alle pareti e la porta d’ingresso fu arricchita di un cancello d’argento massiccio”.
Di tutti questi tesori, depredati durante le razzie che accompagnarono la fine dell’era moghul, rimane molto poco. Oggi, nell’enorme vano ottagonale della camera funeraria, collegata da corridoi a raggiera ai quattro ingressi e alle quattro camere d’angolo, troneggia il sarcofago di Mumtaz e quello di suo marito, Shāh Jahān, qui posto alla sua morte avvenuta nel 1666. Entrambe le tombe sono vuote, dal momento che, i corpi dei sovrani sembra siano stati trasferiti nella cripta sotterranea o addirittura, si suppone, che siano stati nascosti nella fondamenta e a tale scopo furono realizzate diciassette stanze sotterranee, inaccessibili. Le tombe di superficie sono oggi circondate da transenne ottagonali di marmo scolpite in una delicatissima filigrana e che riproducono quelle in oro fatte fondere da Aurangzeb (terzogenito dei defunti, fu sovrano dell’Impero Moghul dal 1658 al 1707). I mosaici di pietre preziose che ricoprono i due sepolcri sono considerati tra i più belli del mondo e la vivacità dei colori degli stessi contrasta con la sobrietà dei disegni calligrafici delle pareti superiori.
L’attenzione alle proporzioni e alla prospettiva, l’uso del prezioso marmo iridescente a seconda della luce, la curva armoniosa del bulbo della cupola, contribuiscono a smaterializzare la massa architettonica, creando la suggestione che il mausoleo emerga dallo sfondo del cielo e quasi galleggi sul tappeto verde del giardino…….. vagamente visione da sogno.
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