William Dalrymple ci racconta nel suo libro (India) il paese nella metà degli anni ’90. Dipinge la situazione a tinte fosche, non vede, fra corruzione e arretratezza, grandi speranze per il futuro. Solo l’antico è gradevole: tradizioni, fedi, costruzioni. In parte è vero ma l’India s’è data un bello scossone poco dopo il viaggio di Williams (che fra l’altro vive vicino a Delhi). La produttività nell’agricoltura è aumentata dal 2004 del 20%; il National poverty rate sceso dal 37,2 al 30%; le aspettative di vita salite da 63 a 65 anni; le esportazioni dal 18% al 25% del PIL; i consumi finali delle famiglie hanno avuto una crescita costante del 10% dal 2004; e il PIL del 8% (per quest’anno è stimato fra il 6 e il 7%), il reddito procapite del 7% medio; il flusso di capitali privati cresce e rappresenta il 3% del PIL. (in Italia il trend è negativo, come per consumi e reddito).
Certo tanto di quanto descrive il bravo scozzese permane: la corruzione dei politici, le diseguaglianze e la concentrazione della ricchezza; la burocrazia, le bande criminali. Ieri è sceso in piazza anche Baba Ramdev (santone televisivo, già accuasato d’aver ammassato una fortuna in donazioni) con 20.000 seguaci che protestavano contro la corruzione, il malgoverno e l’evasione fiscale; segue lo sciopero della fame (non molto seguito) del militante antio-corruzione Anna Hazare.
Corruzione e malgoverno li conosciamo bene, ma, oltre a questo, in India c’è uno sviluppo economico costante che, malgrado tutto, s’è diffuso. Vediamo il Bihar, proprio qui ai confini con il Nepal (e ben descritto nel libro di Darlymple), uno degli stati più poveri dell’India, governato per decenni da politici criminali e, oggi, quello con la crescita economica del 13% nell’ultimo biennio (paragonabile solo a quella della regione di Delhi (+11%), di Poducherry (+9,5%) e di Chhattisgarh (+11). Quest’ultimo derivante dallo sfruttamento delle risorse naturali. Crescita superiore agli stati di tradizionale investimenti nazionali ed internazionali come il Gujarat, Tamil Nadu, Uttar Pradseh in crecsita fra il 7 e il 9%.
Nel Bihar lo sviluppo è stato diretto dal governo con la costruzione d’infrastrutture e migliorando la sicurezza pubblica. Ciò ha portato nuovi investitori, favorito il turismo e i servizi finanziari, permesso alle merci, anche agricole, di trovare nuovi mercati e di costare meno. Certo, le bande criminali proliferano, con il contrabbando di tutto dai confini bucati del Nepal, corrompono e minacciano, ma un percorso è iniziato per cambiare la situazione. Poi l’India è capace di assorbire, modificare e, forse, di creare modelli nuovi.
Scrivevo nel 2008: Fuori dai Palazzi la gente comune cerca d’arrangiarsi fra mango avvelenati dai coloranti, mancanza di benzina e cherosene, shortage di riso e legumi. Nei villaggi sparsi nel sub-continente, tutti questi intrighi arrivano come un eco lontanissimo e poco concreto. Come marziani, le mafie istituzionali politico-burocratiche-affaristiche (nazionali e regionali) qui come in Italia, fanno progetti, discorsi e proposte parallele e non convergenti con il mondo reale. Unica nota positiva della crisi in Occidente, inflazione e mancanza di soldi, è che le classi spendaccione potranno permettersi qualche telefonino nuovo in meno e, forse, pensare a trovare altre soddisfazioni oltre al consumo.
L’India assorbe, s’adegua, s’adatta ma sforzandosi di mantenere, preservare, diffondere anche pensieri un pò diversi da quelli proposti dall’Occidente. Calcutta (Kolkata), Madras (Chennai), Bombay (Mumbai) e anche la tecnologica Bangalare (Bengaluru) hanno ripreso i nomi originari (dalle lingue locali) sostituendo quelli inglesi proprio, da quando è iniziata la modernizzazione (ultime cinque anni). Forse il segnale che si vuole mantenere una propria identità anche aprendosi al mondo globalizzato. Sono tutte città in fase si enorme espansione e in cui si sta formando una borghesia cosmopolita simile e più dinamica di quella europea.
Quando visitai per la prima volta Calcutta (inizi anni ’80) mi sembrò avvolta da una decadenza insuperabile. I palazzi costruiti dagli inglesi erano erosi dall’umidità del monsone e dall’incuria. Per le strade dormivano migliaia di famiglie e la grande stazione centrale (un monumento di ferro spettacolare) ne ospitava altrettanti. Oggi si parla di privatizzarla e di creare un hub turistico-commerciale (come del resto per tutte le ferrovie e stazioni indiane); le strade principali sono piene di messaggi pubblicitari di banche, compagnie telefoniche ed elettriche, centri commerciali hanno un motivo comune, quello di “stare nel futuro” Ciò non accadde a Nandigram (2007), nei pressi di Calcutta, dove il governo regionale cercò d’imporre una Special Economic Zone (un hub chimico e automobilistico), sul modello cinese. L’intenzione era di creare lavoro a bassa qualificazione (in India manca) per i contadini poveri. L’idea fu respinta dagli abitanti con scontri durissimi che provocarono 17 morti e centinaia di feriti fra i contadini minacciati di espropriazione. I maoisti Naxaliti parteciparono alla rivolta aumentando la risonanza sulla stampa nazionale a cui seguirono dure critiche e inchieste sulla gestione della crisi da parte dei corpi speciali della polizia. Oggi l’ideatore delle SEZ, il Governatore del West Bengala (West Bengal Chief Minister) Buddhadeb Bhattacharya, finto ascetico, comunista, detto il Buddha Rosso, ha chiesto scusa. Durante una cerimonia in cui sono stati consegnati i patta (fondamentali diritti di proprietà sulla terra) ai contadini delle comunità ha dichiarato “We have learnt our lesson [from the Nandigram experience] and industries will only be set up where the local people are agreeable,” The Hindu maggio 2008.
In un paese in cui la classe politica (e la relativa amministrazione pubblica) è considerata fra le più corrotte e inefficienti del mondo sono esempi di come il controllo e la pressione della stampa e opinione pubblica è in grado d’esercitare sul potere giudiziario e politico anche in questa fase di liberalizzazione e corsa economica. Quello che sta accadendo è che il Privato (aziende, giornali, televisioni, gruppi di pressione), come scritto in altro post sui nuovi interventi per la riduzione della povertà delle Corporations indiane, sta esercitando un’influenza positiva, mitigando le tensioni, proponendo percorsi alternativi e concreti di sviluppo, praticando modelli sociali di comportamento, verso il Pubblico.
Il Primo Ministro Manmohan Singh, passato ministro dell’economia, ha aperto l’India al mercato, ha eliminato migliaia di norme che bloccavano lo sviluppo (specie per i piccoli) e rafforzavano l’immensa e vorace burocrazia statale. Ora sta cercando di sfruttare, nei limiti di un sistema politico frammentato e litigioso, il connubio positivo con le idee degli imprenditori più aperti; personaggi apprezzati dall’opinione pubblica. Si discute di aprire ai privati la gestione e ammodernamento del sistema ferroviario (la più grande azienda del paese), degli aereoporti (assolutamente inefficienti) e di altri settori pubblici. Abbiamo visto come in Nepal la Royal Nepal Airline (stile la nostra Alitalia) aveva, nel 1989, un bilancio positivo per oltre 17 milioni di dollari quando era gestita come un azienda privata. Dal 1990 i partiti sono entrati nella sua gestione e, oggi, non ha un solo aereo funzionante e da sei mesi non vola. Le perdite sono incalcolabili come sprechi e scandali.
Questo per dire che, forse, è possibile inserire gli elementi postivi del capitalismo e della gestione aziendale (etica, professionalità, competenze, attenzione agli sprechi, etc.) anche nel pubblico e nelle politiche di sviluppo, accogliendo principi di partecipazione, trasparenza e condivisione con i beneficiari (stakeholders). Forse l’India non è più solo il deposito di miti pacifici e antichi ma nel suo millenario rimescolamento, assorbimento e elaborazione di idee sta creando nuove filosofie e pratiche che possono modellare, in meglio, il nuovo ordine economico mondiale in formazione.
Per questo alcuni studiosi, quali il nuovo iperattivo e onnisciente Guru Dominique Moisi, scrive the United States and Europe are divided by a common culture of fear. On both sides, one encounters, in varying degrees, a fear of the other, a fear of the future, and a fundamental anxiety about the loss of identity in an increasingly complex world….and much of Asia displays a culture of hope” nel suo libro The Geopolitics of Emotion: How Cultures of Fear, Humiliation, and Hope Are Reshaping the World.
Del resto il passato ritorna “With the fall of Rome, Europe entered the Dark Ages, and Asia became the center of world trade, culture, religion, and urban development, scrive in When Asia Was the World, Stewart Gordon. The caravans that kept the different parts of Asia connected were huge enterprises of over 1,000 people and 3,000 animals. The main capital cities — Baghdad, Beijing, and Delhi — were larger and more impressive than any city in Europe at the time.
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