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Non è mai inutile discutere, ma certo sarebbe defatigante e forse sterile farlo con chi considera “l'unità italiana” non il risultato di un processo, virtuoso o no qui non importa, ma un valore assoluto e categorico, una variabile indipendente dai processi storici (che infatti sono generalmente mistificati). Lo stesso fa il mio amico Gianfranco Sabattini in Democrazia oggi. Anche per lui, questa unità è una categoria valoriale, alla quale si possono sacrificare le ricerche storiche, se queste comportano l'indebolimento di quel valore categorico e la conseguente “disgregazione del Paese”.
Sia Mario Segni sia l'amico Sabattini sembrano ignorare che la crisi dello Stato-nazione non può essere frenata con una mozione degli affetti, con l'iniezione di dosi massicce di “sentimento nazionale” o, peggio, con azioni autoritarie. Fermo restando che questa crisi non solo è salutare ma, in tempi non prevedibili, irrisolvibile, l'unità della Repubblica italiana potrà, non so per quanto tempo ancora, esser salva proprio attraversa quel che prevede la mozione sardista. Una confederazione di regioni o macro regioni che intendano costituirsi in entità sovrane. Maninchedda le chiama stati, io temo il termine per tutto ciò che esso comporta in termini di seduzioni hobbesiane, illuministe, hegeliane, etc etc. Un inutile salto nel passato in cui nacquero gli stati-nazione che sono in crisi (si pensi al Belgio) o la cui crisi è esplosa a volte tragicamente, si pensi alla Serbia. Ma non è questo, oggi, l'oggetto del contendere.
Personalmente ho avuto, e in parte conservo, dubbi che una mozione sia strumento adatto a porre una questione di tanta rilevanza, ma devo riconoscere che il documento sardista ha avuto il pregio di metterla all'ordine del giorno del Consiglio regionale che potrebbe, da ora, trasformarsi in Parlamento.
La proposta del Psd'az è largamente sovrapponibile a quella fatta (ed articolata in proposta di legge) dal Comitato per lo Statuto. Maninchedda continua – chi sa perché? - ad ignorarla, anche elencando i documenti sul piatto, dopo averla sbertucciata come “traccia culturale, con una patina di catalanismo conservatore spruzzata di cossighismo monarchico”. Misteri della politica o della iper considerazione di sé?
Certo è che, questo messo da parte, mi ritrovo in quanto Maninchedda afferma nel suo articolo, quando dice di non credere che il fondamento dell'indipendenza “sia di tipo etnico, perché qualsiasi etnicismo sfocia inevitabilmente in razzismo”. La confusione (non casuale e mai innocente) fra nazione ed etnia, questa spesso presa come sinonimo eufemizzante della prima, ha comportato la confusione fra nazionalismo ed etnicismo, per non pagare il dazio della comprensione dei movimenti di liberazione che sono nazionali e non etnici. Quando le etnie, che pure esistono e svolgono una funzione vivificatrice delle nazioni, si pongono problemi di prevalenza su altre, succedono le pulizie etniche. Le nazioni, “cose” culturali e politiche in quanto difendono la propria lingua e la propria cultura, non danno luogo a conflitti; i conflitti sono sempre fra stati, anche quando erano, nel Medioevo, Comuni, Ducati o altro.
“L’identità” scrive Maninchedda “non è un fatto naturale ma è una decisione politica maturata nel consenso democratico (le lingue nascono e muoiono, naturalmente; noi, politicamente, vogliamo difendere la nostra)”. A parte qualche approssimazione, frutto forse della necessità di sintesi (che vuol dire che l'identità “ è una decisione politica maturata nel consenso democratico”? Boh), il problema è proprio lì, nella politica attiva per difendere e rendere dinamica l'identità: la difesa della lingua – elemento primo dell'identità, ma anche di una nazione e persino di uno stato, indipendente o confederato che sia – è una decisione politica. Il che ha una validità speculare: il giudicare superflua la lingua, e comportarsi di conseguenza, è una decisione politica.
È davvero un peccato che nella mozione sardista, la lingua sarda compaia solo in quanto soggetta alla “spoliazione culturale derivante da una sistema scolastico monolingue, ostile alla cultura e alla lingua dei sardi”. Su questo c'è un largo accordo fra i sardi. Che cosa fare, dunque, per invertire il processo di spoliazione? Non è, cari amici sardisti, che anche voi volete rinviare il processo inverso alla spoliazione al giorno dopo che sarà sorto il sole luminoso dell'indipendenza?
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