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Indiscrezioni sul bello. Prolegomeni alla fondazione di un’estetica del piacere 4/6

Creato il 18 febbraio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura

Dei cinque sensi, soltanto alla vista e all'udito - sensi teoretici - è stato conferito il privilegio di avere rapporti con il bello. Agli altri, la filosofia ha riservato ruoli a margine e senza alcun rilievo nella discussione estetica. Agli imprecisi e inaffidabili tatto, olfatto e gusto, sono stati lasciati gli scarti di sensazioni volgari e basse. Una congerie di sacramentali nefandezze con cui la filosofia non ha voluto cimentarsi. Le sensazioni fornite dalle papille colpite da aromi speziati, gli afrori dei corpi madidi mortificati dalla fatica o la lussuriosa carezza di un amante, non rientrano nel canone estetico. Come fastidiosi questuanti, essi sono stati lasciati alla porta del bello a elemosinare avanzi. La storia non li menziona che per le manie, i vizi o una lunga serie di ignominiose smodatezze. La necessità del contatto diretto con l'oggetto, dunque, li ha resi inefficaci e deboli nell'esclusiva relazione con il bello. La presenza della cosa da assaggiare, da toccare, fiutare, la cosa in "carne e ossa", insomma, li fa apparire ingombranti e superflui.

I sensi teoretici, invece, eludendo tale contatto, giungono al dunque senza altre intermediazioni. Una qualunque vissuta corporeità è bandita. Essa è d'ostacolo affinché i sensi possano dire come realmente stanno le cose. Tuttavia Bossuet vi scorge qualche falla e ci mette subito in guardia alimentando un sospetto: anche l'occhio e l'orecchio sono vie d'accesso alla perversione e allo scandalo della concupiscenza. Con il suo Cristianesimo da trincea, egli ci obbliga a prendere le distanze dalle illusioni e dalle futilità del mondo che, attraverso occhi e orecchie, stimolano quei piaceri anticamera del vizio. Il bello qui subisce una trasfigurazione divenendo una piaga, un'ossessione, un difetto. È attraverso occhi e orecchie che la concupiscenza della carne si presenta ai nostri sensi. "La vista viene infettata", ammette con precisione Bossuet, "poiché è con gli occhi che si comincia a ingerire il veleno dell'amore sensuale. [...] Le orecchie ne sono infettate quando, a causa di colloqui pericolosi e di canti pieni di mollezza, si accendono o si tengono deste le fiamme dell'amore impuro e di questa nostra segreta disposizione alle gioie sensuali" (J.-B. Bossuet - Trattato della concupiscenza).

Insomma, la bellezza di un corpo, l'armonia delle sue forme, la delicatezza della sua voce, diventano un pericolo da cui stare alla larga. Per Bossuet, il piacere è un fastidioso accidente. Ma egli, almeno, non lo nega. Anzi, è con Bossuet che riconosciamo il piacere, le sue manifestazioni, i suoi rapimenti. Con Bossuet ci rendiamo finalmente conto che oltre il bello, oltre cioè quell'effimero prurito, esiste ancora un corpo pulsante e vivo, un corpo affamato di piacere come quello descritto nel catalogo di stranezze che Caraco compila con il titolo di Supplemento alla Psycopathia sexualis.

Lontano galassie, del bello qui non vi si scorgono ormai che un'aura opaca dagli sbiaditi contorni. Con Caraco i sensi non sono più passivi, lastre su cui incidere i segni di una dubbia e noiosa quotidianità. Con Caraco i sensi toccano, palpano, annusano miasmi, gustano ogni specie di nauseabonda sostanza. Persino occhi e orecchie concorrono alla sfrenata soddisfazione di un piacere represso e costantemente differito da una buffa etica del bello. Nel Caso 24 del suo Supplemento, egli descrive di un tale che "Gode soltanto con gli occhi e con le orecchie [...]" cosicché "Il mugolare degli innamorati lo incanta non meno della visione dei loro corpi [...]" (A. Caraco - Op. cit.).

Il Supplemento è un breviario di nefandezze da cui il piacere trasuda insieme a vizi e orrori. Tuttavia un dettaglio non ci sfugge: il piacere deve essere consumato, deve essere esaurito, sciupato fino allo sfinimento. Non come la timida fiammella del bello che intanto dispensa ancora le sue inani delizie soltanto a una comunità di disperati in cerca di futili svaghi e trastulli minori.


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