Peter Hobden, "Il giocoliere titubante"
Gunter Sachs (14 novembre 1932 – 7 maggio 2011)
Cittadino svizzero di famiglia tedesca. Sintetizzato dal Guardian come “industrialist, playboy and former husband of Brigitte Bardot“. Ma era anche qualcos’altro. Si è suicidato a casa sua, a Gstaad, Svizzera, Cantone di Berna.
Un regista e uno sceneggiatore, un minimo versatili, che volessero dare un’idea di Gunter Sachs, avrebbero diverse carte su cui giocare la loro forza rappresentativa. Potrebbero lavorare su un’ombra smaltata e tragica di tanti passati sempre più trascorsi: un giovane tedesco, del 1932, nel lungo dopoguerra postnazista, l’erede di una ricchezza, soprattutto materna (Opel, le automobili) lunga quattro generazioni, un’infanzia dove Himmler e Goering erano quasi di famiglia, un padre di nome Willy denazificato dagli americani, e quindi rimesso in grado di mantenere status e produzione (componenti per auto), e poi suicida, nel 1958.
Insomma, la Germania anni zero, destinata però a rifarsi adulta, anche a scanzonarsi. Con un suo tratto ridiventato capace di stare, senza armate e razzismi, in più mondi. Uno, in particolare, (quello di Gunter Sachs), con più passaporti, più lingue incrociate con naturalezza, dove il termine “vacanza” era vissuto da sempre all’opposto del termine “ferie”, e con il massimo della douceur de vivre. Quell’insieme (fatto non solo di ricchezza, di Moët & Chandon, di coste azzurre, greche, spagnole, o di Svizzera) si chiamava cafè society – una società transnazionale che si riconosceva in tutto istantaneamente incrociandosi con scelte teatrali o spontanee – e non esiste più da almeno un trentennio (il termine jet set non c’entra, neanche sociologicamente). E la sua scomparsa coincide, più o meno, col ritiro di Gunter Sachs da uno dei primi piani di quell’insieme. Uno dei passati trascorsi su cui quegli ipotetici regista e sceneggiatore potrebbero lavorare.
(continua su Linkiesta)