Magazine Diario personale

Inevitabilmente

Da Lupussinefabula

E poi ti trovi così, con un soffio di ali tra le mani e la voglia di andare via. O di restare. Ancora non lo sai. Forse- ti dici- non lo saprai mai.

L’unica cosa che davvero sai, è che hai qualcosa dentro che non ti spieghi. E per spiegarlo forse devi andare via; lo senti, non con certezza, che dovresti andare via per spiegarlo a te stesso; e una volta che lo saprai, forse, potrai spiegarlo anche agli altri, chiarire tutto, mettere tutto nero su bianco, scrivere un punto fermo in fondo alla tua indecisione…

Ma poi, quando lo avrai scoperto, importerà qualcosa a qualcuno della tua storia? Gli altri saranno davvero interessati a conoscerla? Avranno il tempo e la pazienza di ascoltarla?

E poi, durante il viaggio,  potrebbero sorgere altre domande, altri ‘qualcosa’ che non ti sai spiegare, altri punti di fuga…

Di fuga, esatto; perché in questo momento nel quadro della tua vita ti serve solo questo: una via di uscita catarifrangente, una scritta EXIT che ti consenta di andartene, di nasconderti dalla scena, di eclissarti e scomparire dietro le quinte o dietro il fondale del quadro- se preferisci- dietro la cornice.

Ma in fondo è da te stesso che ti vuoi nascondere.

Certo- dirai- io non so ancora di cosa tu mi voglia parlare. E hai ragione. Ma ti garantisco che in fondo, anche se l’argomento della nostra conversazione sembra implicito, oscuro, impervio, se abbassi lo sguardo verso il tuo petto, verso il tuo cuore, se rivolgessi i tuoi occhi verso l’interno più profondo del tuo pensiero e ascoltassi con attenzione e calore, troveresti una parte di te dentro le mie parole, una parte del tuo destino; e se non la trovi è perché forse non è il momento giusto; e se non comprendi è forse perché il destino sa meglio di noi che tu devi scoprire queste cose tra un po’. Non ora, intendo, tra un po’ di tempo; quando la vita ti avrà dato gli strumenti per capire.

Remains of Forse Castle

Remains of Forse Castle (Photo credit: Wikipedia)

Ha avuto inizio tutto da un messaggio; da uno stupido messaggio scritto per caso in un pomeriggio di noia su un blog. Era il primo gennaio di un anno che si preannunciava senza prospettive, almeno per me; come la neve che mi attorniava; freddo; disamore; di me, di tutto, di niente.

Per te chissà…non l’ho mai saputo con precisione, o forse solo non te l’ho mai chiesto: in quel momento ero parte di un’altra vita, e tu solo della tua.

Poi, con la rapidità con cui il cielo si rasserena dopo un temporale, cancellando le nubi come fa una gomma con un tratto di matita, mi hai teso la mano, e mi hai donato la tua nebbia; io la ricevevo, innamorata e immortalata dal tuo buio, dalla tua profonda consapevolezza di essere innamorato di me; (o dell’idea che avevi di me: anche questa cosa non la saprò mai davvero fino in fondo, né mai te la chiederò).

E quando il cielo cambia dopo un temporale, è per restare stabile per sempre, o è per promettere rovina. E io ho ricevuto la tua rovina, radicandomi come edera, estirpando me stessa da me per risanare i tuoi ruderi. Ma così è l’amore, quando si appassiona.

Il tempo ci ha fatto condividere momenti di lontananza, chilometri per vedersi, telefonate anche di notte, quando ululano solo i lupi- o i sentimenti irrisolti che hai nel cuore.

E poi ci ha fatto condividere 50 metri quadri di quotidiano scontro per determinare i propri spazi senza fondersi troppo; ma fondendosi inevitabilmente del tutto.

E in questi 50 metri quadri c’è tutto un sogno, quello che non puoi nemmeno immaginare perché sai che il tempo se l’è già portato via; c’è il sogno che continui comunque a sognare ogni notte e ogni giorno, e che si veste da incubo quando, per l’ennesima volta, qualcuno ti dice no. Ma c’è un incubo più quotidiano di quel sogno di esser madre e padre che accantoniamo ogni giorno; ed è l’incubo che abita dentro di me, quello di vedere il tuo entusiasmo sfiorire, inghiottito da quella nebbia, da quelle rovine che io ormai conosco bene, troppo bene, più di quanto io conosca me stessa; l’incubo che il tempo e la mancanza di certezze possa più della mia edera radicata nel tuo dolore e la annienti.

Ogni giorno appendo alla finestra i miei incubi e i miei sogni; e mi chiedo se la neve di quel primo gennaio senza prospettive non fosse altro che un avviso appeso da un Dio lì per me.

Non lo so, non lo saprò mai; se era un avviso non l’ho ascoltato, ma non me ne pento. Ora sono qui. Anche stasera rinchiudo nella scatola del nostro appartamento i nostri sogni, e aspetto di vedere la tua faccia quando mi dirà che ha ricevuto un altro no. E per un attimo mi sforzerò di abbracciarti, ma poi questo abbraccio diventerà naturale, con pazienza, con amore.

E saremo ancora noi, come da allora. Perché in fondo io lo so, che nonostante tutto sei tu quella scritta EXIT che cerco per capire chi sono; sei il punto di fuga che mi aiuta a restare nel quadro, a restare in scena senza scappare via dal teatro. Comunque. Nonostante tutto. Ancora. Io, con te e contro te, assieme a te combatto.



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