Infanzia Made in Italy #2

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Seconda tappa del viaggio tra le aziende italiane che producono per l’infanzia.
Decise a portare avanti un monitoraggio puntuale delle proposte di giochi per l’infanzia delle aziende italiane, perchè è anche nell’educazione che riceviamo da piccoli che si iniziano a costruire le gabbie in cui ci ritroviamo da adulti.

Sbarchiamo tra le pagine del catalogo online di Clementoni, che si occupa di giocattoli educativi dal 1963.
Si tratta di un’azienda attenta alla crescita e allo sviluppo delle capacità cognitive, quindi partiamo da un livello alto di propensione al gioco interattivo e condiviso.

Soprattutto per le fasce di età più alte, infatti, i giochi scientifici sono impostati per essere stimolanti, istruttivi, ma anche collettivi e su quasi ogni scatola vengono rappresentati un bambino e una bambina che giocano insieme, da cui deriva l’indirizzo misto, maschi e femmine, dei giochi stessi.
Si gioca insieme e non c’è un colore “genderizzato” ( rosa o azzurro ) che predomini e condizioni la scelta.
Stessa condizione per gli spot televisivi.

L’analisi tiene quindi conto del sostanziale avanzamento della comunicazione e della pubblicità dell’azienda nel rilevare alcune tendenze conservatrici , cercando di individuarne cause e modalità.

Spulciamo il catalogo “Prima Infanzia”, da 0 a 3 anni. Tra i giochi “Primi mesi”, in generale la proposta è di giocattoli dai colori neutri, reclamizzati però tutti da maschietti, più alcuni invece caratterizzati dall’ essere lo stesso gioco però in due versioni differenti, azzurro e rosa, una per maschio, una per femmina.

Stessa situazione per i “Peluche educativi”, dove infatti troviamo giochi multicolore e poi alcuni indirizzati unicamente alle bambine sui toni del rosa o che riproducono personaggi femminili dei cartoni animati per l’infanzia ( con spesso il loro corrispettivo maschio ).

Quello che quindi colpisce da subito è prima di tutto la necessità di creare prodotti espressamente per bambine, in numero nettamente inferiore a quelli per maschi, senza alcuna differenza tecnica, ma sempre correlata nella pubblicità all’immagine di una bambina.
Ci chiediamo quindi: che bisogno c’è di creare prodotti unicamente per femmine e di caratterizzarli con la foto di bambine?
Inoltre i prodotti considerati “neutri”, cioè non dichiaratamente “per maschi”, sono però tutti reclamizzati con l’immagine di maschietti, creando una contrapposizione e influenzando scelta e consumi su un campo molto più ristretto per quanto riguarda l’utenza femminile.
Sembra quindi che scegliere una bambina per reclamizzare un prodotto settarizzi l’utenza, escludendo quella maschile, viceversa invece no.

Non è certo la scoperta dell’acqua calda, ma se critichiamo la lingua italiana, rendiamoci conto che anche questi sono linguaggi, anche ben più sottili e contaminanti.

Allo stesso modo, tra le “Prime attività”, si trovano ad esempio due prodotti, due libricini interattivi, uno per maschi, uno per femmine, sostanzialmente uguali per caratteristiche educative se non nei contenuti, ma uno è promosso “per le bambine”, mentre per l’altro non viene stabilito il genere dell’utenza.
Tra l’altro sembra persino che il bambino/a fotografato nella pubblicità sia lo stesso/a, solo con qualche modifica in fotoritocco.

Di nuovo, come in tante altre aziende, si nota come non solo sia ancora in voga la differenziazione maschio/femmina, azzurro/rosa, ma che quando invece esiste un gioco “neutro”, universale, il femminile diventa una sua derivazione relativa al vero esistente che è, di nuovo, il maschile.

Altro esempio di divisione binaria e derivata?


Il centro attività a forma di dinosauro verde per i maschi, rosa per le femmine.
Da chiarire forse per l’ennesima volta che nel voler scegliere giochi o abbigliamento rosa per le bambine non è di per sé dannoso, ovviamente. Perché se poi una volta cresciute non vogliamo essere considerate frivole perché vestiamo di “colori femminili” o giudicate anomale perché non lo facciamo, è proprio però una libertà sostanziale che va ricercata fin da piccole.
Una libertà che il mercato ancora non concede alle bambine, i cui prodotti dedicati si assomigliano tutti per colore ( dal rosa al viola al fuxia ) e per descrizione ( gli aggettivi più frequenti? Romantica, tenera, elegante, sognante ).
Allo stesso modo le parole che più spesso caratterizzano i prodotti per maschi sono grinta, energia, e simpatia.
Persino tra i “Giochi Educativi” dedicati ai più grandi infatti esiste ad esempio una versione “neutra” del Sapientino, che sì ha un bambino sulla scatola, ma non è detta espressamente per maschietti, poi a latere una versione “bambina”, in rosa, con femminuccia sulla scatola, che al pari della versione “animali” o “inglese” è una variante del gioco in sé che è quindi per niente neutro.

Tornando alle “Prime attività”, troviamo il divario più grande guardando a quali siano poi gli ambiti di esperienza e di crescita riservati a maschi e femmine.

Le bambine possono infatti gioire del gioco di una borsetta di plastica che suona e si illumina, uno specchietto in cui ammirarsi, un phon musicale e parlante. Tutti in rosa, ovviamente. Tutti oggetti che riprendono aspetti stereotipati della femminilità e che inducono ad un ambito di esperienza limitante e condizionato.
Perché mai poi un maschietto non dovrebbe sentirsi libero di rimirarsi in uno specchietto fuxia o di giocare al parrucchiere?
Perché la sua virilità sarà sicuramente accresciuta con i giochi d’esperienza più adatti a lui.

Un trapano, un martello, una macchina di formula uno, un tamburo.
Due utensili da lavoro manuale che lo indirizzino al suo ruolo sociale, a professioni specifiche, un feticcio della cultura maschile italica e, finalmente, uno strumento musicale, stimolatore di creatività.

Ognuno di questi giochi è creato perché davvero stimoli alcune capacità essenziali di bambine e bambini, non sono solo oggetti fine a se stessi e questo si capisce.

Quello che risulta più arduo da accettare è che queste capacità di apprendimento possano passare solo attraverso oggetti così limitanti della creazione della personalità “di genere” della libertà d’espressione e di relazione.
Perché anche queste dovrebbero essere caratteristiche fondamentali da instillare in chi cresce.

Niente vieta ovviamente a una consumatrice di non rispettare le impostazioni di consumo pensate dal produttore, ma è impossibile non rendersi conto dell’induzione al bisogno “di genere” e di rispetto delle aspettative sociali vendute insieme ai giocattoli.



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