(di Marco Crestani, pubblicato su Bookavenue)
Scritto nella prima metà degli anni 1990, coglie con chiarezza l’importanza della tecnologia per la vita quotidiana. Un futuro tecnologico in cui la tecnologia di rete non sembra però mai unire le persone.
Collocato in un futuro in cui i tragicomici progressi della tecnologia e gli irreali sviluppi della politica non hanno cambiano certe difficoltà tipiche dei sentimenti e dei rapporti umani, questo secondo spropositato romanzo dallo spirito dark consacra David Foster Wallace tra i grandi della narrativa americana degli ultimi decenni. Colpendo soprattutto per la complessità linguistica e la sperimentazione stilistica. Oltre che per la complessità delle sue trame barocche e per l’umorismo sorprendente ricco di riferimenti culturali, Una strana massa labirintica, un intreccio di minutissime linee che tratta di tossicodipendenza e recupero, di intrattenimento popolare e di tennis. Forse il romanzo più innovativo in lingua inglese dopo l’Ulisse di James Joyce.
Leggendolo si resta sorpresi, sconcertati, stupefatti, sbalorditi, incuriositi, sconvolti, ci si rinfresca intellettualmente, si viene provocati, sfidati, decisamente stimolati… Perché Foster Wallace è un virtuoso e la creatività è una sua costante.
Infinite Jest è davvero un enorme groviglio e un sacco di storie separate, ma mai del tutto convergenti. Wallace salta da trama a trama, ma anche avanti e indietro nel tempo in ogni capitolo. E’ un romanzo splendido paragonabile a una scultura incompiuta di Michelangelo.
Ogni pagina è divertente e piena di fatti interessanti, di osservazioni, di intuizioni. Il linguaggio è molto erudito e senz’altro affascinante. Non è mai pedante, è una sorta di divertente, eccentrico gioco di parole.
Infinite Jest è un libro sul tennis come espressione figurata dei processi di competizione che governano le nostre vite nelle società industrializzate; è un libro sulla Dipendenza (sull’America come la terra delle dipendenze), scomposta in ogni sua forma e variante; è un libro su una società basata sul divertimento, in cui il termine party viene adoperato quasi fosse un verbo e in cui l’Intrattenimento è l’obiettivo primario. Un mondo di persone totalmente dedite al divertimento che, anche se vivessero tutta la loro vita nel dolore, non potrebbero mai rinunciare nemmeno a un secondo di piacere. E’ un libro sulla pubblicità, dove il messaggio pubblicitario si è intrufolato dappertutto nella vita di tutti i giorni, persino gli anni sono “sponsorizzati” e hanno il nome di un prodotto. E’ un libro sul terrorismo insurrezionalista del Quebec e sui drammatici contraccolpi della nostra aberrante produzione di spreco, di rifiuti, di immondizia, sul disastro ecologico, ambientale, umano. E’ un libro sulla tristezza per una mancanza di senso o di scopo, che emerge anche momenti più divertenti del romanzo; è un libro che conquista con una potenza creativa sconfinata e libera con pagine di “profonda e lucida tristezza” (Jonathan Franzen, dalla quarta di copertina dell’edizione Einaudi).
Il problema principale di Infinite Jest è forse l’eccesso. E’ davvero troppo. Troppo storia, troppi personaggi, troppo testo.
E’ chiaro che Wallace quando lo ha scritto aveva in mente un fine teorico-estetico, ma tutto poteva essere realizzato in meno di duecento pagine? E’ intenzionale, certo, ma è necessario? E’ utile?
Infinite Jest è un lavoro impressionante, non c’è dubbio su questo. Non è una narrazione convenzionale e si nota come Wallace si diverta con la scrittura e certe sue intuizioni sono notevoli.