Nel 1947-48, nel corso del lungo viaggio che lo porterà da Czernowitz a Parigi dove arriverà in Luglio, Paul Celan incontra a Vienna Ingeborg Bachmann, poco più che ventenne. E' l'inizio di una relazione intensa: "Lo stretto e intimo legame con la Bachmann, su cui entrambi mantennero sempre un riserbo impenetrabile, parla in maniera inequivocabile nei testi di entrambi. A lei Celan dedica le liriche scritte a Vienna, tra le quali forse la più preziosa è Corona, nella quale l'amore si coniuga con all'oblio, «wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis» («noi ci amiamo come papavero e memoria»), e la speranza combatte tenacemente il silenzio della pietra, in una tensione che sconfina nell'utopia. La poesia della Bachmann Die gestundete Zeit (Il tempo differito), che dà titolo al suo libro del 1953, potrebbe essere letta come una risposta amara, nel fallimento della speranza, a Corona. E ancora nel romanzo Malina del 1971, all'indomani del suicidio di Celan - di lì a poco anche la poetessa perirà in maniera cruenta - la figura dello «straniero» che viene dall'Est, il cui popolo «è il più vecchio di tutti i popoli ed è disperso nel vento», rimanda esplicitamente, anche nella descrizione fisica, a Celan" (Mario Specchio).
Dopo
pochi mesi Paul riparte per Parigi, sua destinazione finale e suo
destino. Ma la relazione affettiva non si interrompe. Nel 1949 Ingeborg
raggiunge Paul in Francia, dove intreccia con il poeta un legame
passionale che brucerà nel giro di un paio di anni, ma che non si
interromperà mai del tutto, anche dopo che ciascuno dei due avrà trovato
altri compagni (Max Frisch lei, Gisèle de Lestrange lui), con ritorni
di fiamma (come nel 1957, sempre a Parigi) e soprattutto un fitto
scambio epistolare (Troviamo le parole, Ed Nottetempo, 2010),
in cui progressivamente il confronto diventa poetico, si fa letteratura,
scambio reciproco di influenze, ma anche ricognizione del progressivo
scivolare di Celan nel suo personale gorgo di dolore, rimorsi, rimpianti
inconciliabili. Anche se l'ultima lettera è del 1961, a parte quelle
mai spedite, il legame è radicato. Poco dopo il suicidio di Celan,
gettatosi nella Senna nel 1970, Ingeborg annota in margine al
manoscritto di Malina: "La mia vita è alla fine. Lui è affogato, trasportato nel fiume, lui era la mia vita".
Paul Celan - Corona
L'autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.
Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.
Il mio occhio scende al sesso dell'amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.
Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
E' tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l'affanno abbia un cuore che batte.
E' tempo che sia tempo.
E' tempo.
(trad. Giuseppe Bevilacqua)
CORONA
Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde,
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.
Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.
Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten;
wir sehen uns an, I
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.
Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.
Es ist Zeit.
Corona
è una lirica d'amore, scritta nel 1948, probabilmente già a Parigi, che
si differenzia da quelle scritte precedentemente, a Bucarest: ora
infatti la relazione amorosa sembra volersi proclamare ufficialmente.
Gli amanti si fanno alla finestra, si mostrano: perché «è tempo che si
sappia». Con apparente paradosso essi si amano come Mohn und Gedächtnis,
ossia come possono amarsi due contrari: l'oblio e la memoria. L'amore
si perfeziona e si esalta nella difficile conciliazione degli opposti.
Assumendolo come titolo dell'intera raccolta, Celan ne ha esteso
enormemente l'alone simbolico. Dobbiamo supporre che con esso il poeta
abbia voluto indicare l'opposizione in cui si trovava a vivere e sentire
in quei primi anni del dopoguerra; e la speranza di poterla conciliare
nel cerchio magico di una relazione, che a differenza di quelle
attestate in quasi tutte le restanti poesie amorose della raccolta, in
Corona si presenta tanto poco occasionale e precaria da voler essere
riconosciuta ufficialmente e quindi farsi supporto di una condizione
duratura. L'opposizione, quasi non occorre precisarlo, è quella tra
l'inevitabile e del resto voluto ricordo delle tragiche esperienze
attraversate in patria e la legittima aspirazione a non farsene
sopraffare, a lasciarsi aperta la strada per una nuova esistenza (Giuseppe Bevilacqua).
Ingeborg Bachmann - Il tempo dilazionato
S'avanzano giorni più duri,
Il tempo dilazionato e revocabile
già appare all'orizzonte.
Presto dovrai allacciare le scarpe
e ricacciare i cani ai cascinali:
le viscere dei pesci nel vento
si sono fatte fredde.
Brucia a stento la luce dei lupini.
Lo sguardo tuo la nebbia esplora:
il tempo dilazionato e revocabile
già appare all'orizzonte.
Laggiù l'amata ti sprofonda nella sabbia,
che le sale ai capelli tesi al vento,
le tronca la parola,
le comanda di tacere,
la trova mortale
e proclive all'addio
dopo ogni amplesso.
Non ti guardare intorno.
Allacciati le scarpe.
Rimanda indietro i cani.
Getta in mare i pesci.
Spengi i lupini!
S'avanzano giorni più duri.
(trad. Maria Teresa Mandalari)
Die gestundete Zeit
Es kommen härtere Tage.
Die auf Wiederruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.
Bald mußt du den Schuh schnüren
und die Hunde zurückjagen in die Marschhöfe,
Denn die Eingeweide der Fische
sind kalt geworden im Wind.
Ärmlich brennt das Licht der Lupinen.
Dein Blick spurt im Nebel:
die auf Wiederruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.
Drüben versinkt dir die Geliebte im Sand,
er steigt um ihr wehendes Haar,
er fällt ihr ins Wort,
er befìehlt ihr zu schweigen,
er findet sie sterblich
und willig dem Abschied
nach jeder Umarmung.
Sieh dich nicht um.
Schnür deinen Schuh.
Jag die Hunde zurück.
Wìrf die Fische ins Meer.
Lösch die Lupinen!
Es kommen härtere Tage.
Se
può essere affascinante l'ipotesi di Mario Specchio che questa poesia sia un
frammento della comunicazione amorosa a distanza tra Ingeborg e Paul,
non bisogna però dimenticarsi della Bachmann quale denkende Dichterin,
poetessa-pensatrice come fu definita fin da subito dalla critica, della
giovane studentessa autrice di una tesi di laurea su Heidegger, dei
suoi successivi saggi su Wittgenstein. Il "tempo dilazionato" non è solo
quello che manca all'addio, alla partenza dell'amato (il gesto di
commiato che è l'allacciarsi le scarpe), ma certamente anche quello più
in generale dell'esistenza, frantumato e "concesso" in ore, in attimi
anche indicibili, un tempo destrutturato e forse privo di storia, la cui
ricomposizione, il tentativo di strapparlo all'oblio (al papavero di
Celan), può essere affidato solo allo sforzo terribile del linguaggio.
Tempo senza futuro e quindi, giorno per giorno, "revocato". i cui giorni
futuri, inconoscibili, sono ì "più duri". Il tempo come marcatore
implacabile della solitudine. Dice la Bachmann in una delle ultime
liriche scritte prima del sua "conversione" alla prosa (Corrente,
1957, l'autrice ha appena 31 anni): "Già così innanzi nella vita e
prossima / alla morte, da non poterne disputare con nessuno, / strappo
alla terra la mia parte: // trafiggo dritto al cuore il tacito oceano /
col verde cuneo, e tutta mi inondo. // Si levano uccelli di stagno e
odor di cannella! / Col mio assassino, il Tempo, io sono sola. /
Ebbrezza e azzurro ci imbozzolano insieme."