Il drammaturgo Alan Bennett e la sua Inghilterra ipocrita
Nell’acclamato romanzo del 2001 dello scrittore inglese Ian McEwan, “Espiazione”, si dava fugace conto della sguaiata scompostezza di costumi propriamente italiana. A seguito di una giornata estiva sorprendentemente torrida per l’altrimenti mite clima britannico, uno dei personaggi riflette: ‹‹Adoro l’Inghilterra durante le ondate di caldo. E’ un altro paese. Cambiano tutte le regole.›› Un esempio? ‹‹Al club c’è un solo posto dove è concesso togliersi la giacca: la sala del biliardo. Ma, se la temperatura supera i ventisette gradi prima delle tre del pomeriggio, allora è possibile togliersi la giacca anche al bar del piano di sopra, il giorno dopo.›› ‹‹Il giorno dopo! Un paese diverso, non c’è che dire.›› fa un suo compare, al che il nostro ribatte: ‹‹Sapete cosa intendo. La gente si lascia andare di più: un paio di giorni di sole e diventiamo tutti italiani.›› Ah, il bel paese e le sue usanze scamiciate. Ma d’altronde: se c’è il sole ci si sveste, se piove sempre si fa un salto da James Smith & Sons, l’ombrellaio londinese di fiducia.
C’è però qualcosa che contraddistingue l’Inghilterra più di tutto il resto. Più dell’ostinato doppio rubinetto, uno per l’acqua calda, che scotta, uno per quella fredda, che congela; più di quelle dannate finestre a scorrimento verticale; più dell’ammirevole masochismo con cui le ragazze inglesi si aggirano per le strade di Liverpool nelle fredde notti britanniche senza collant, con le gambe blu… Più di tutto questo, a caratterizzare l’Inghilterra, sarebbe una qualità, non molto dissimile dalla proverbiale “politeness”: l’ipocrisia. Questa è stata la tagliente sentenza pronunciata dall’insigne scrittore e drammaturgo inglese Alan Bennett, autore de “Signore e signori” (“Talking Heads”) e de “Gli studenti di storia” (“The History Boys”), per citarne un paio. Una sentenza pronunciata in occasione del cinquantesimo anniversario di uno dei programmi politici più influenti della televisione britannica, il World At One della BBC Radio 4.
Tra le 50 personalità pubbliche di spicco chiamate a inneggiare alla qualità più distintiva della Gran Bretagna, figurava anche l’arguto commediografo. Non la scienza o le università, decantate da Mr Cameron; non i diritti civili e la legge, celebrate da Nick Clegg, leader del partito Liberal Democratico; non il Sistema Sanitario Nazionale (NHS), la conquista britannica più invidiabile secondo il laburista Ed Miliband; e neppure le succose mele British, stando alla politica ecologica di Natalie Bennett. Secondo Alan Bennett, invece, “In Inghilterra ciò che facciamo meglio lo facciamo solo a parole” (“In England, what we do best is lip service”, dove “lip service” designa un’adesione meramente formale). Un’Inghilterra venata di ipocrisia, che con reverenza si toglie la bombetta mentre col bastone ti fa lo sgambetto. In una commedia scritta ben 42 anni fa un personaggio diceva: ”The English never say entirely what they mean. Do I mean that? Not entirely.” (“Gli inglesi non dicono mai esattamente ciò che vogliono dire. Parlo sul serio? Non proprio.”) La commedia era “The Old Country” e il commediografo Alan Bennett. In un primo momento, allo scrittore era balenata la malsana idea di fare menzione della poesia paesaggistica dello Swaledale, quanto in natura vi sia di più simile all’ideale wordsworthiano dell’emotion recollected in tranquillity (emozione rivissuta in tranquillità), oppure delle sublimi chiese medievali, o ancora del National Trust, pur con tutti i suoi difetti. Poi l’illuminazione: “what I think we are best at in England (…) is hypocrisy”, ovvero “ciò in cui eccelliamo in Inghilterra, secondo me, è l’ipocrisia”. Parole forti, eppure vere, parrebbe. “Prendiamo Londra: esaltiamo la sua bellezza e dignità, e allo stesso tempo ci compiacciamo di venderla al miglior offerente. O, meglio, al miglior architetto. Ci gloriamo di Shakespeare, eppure chiudiamo le nostre biblioteche pubbliche” (“Take London; we extol its beauty and its dignity while at the same time we’re happy to sell it off to the highest bidder. Or highest builder. We glory in Shakespeare yet we close our public libraries”). Quello inglese apparirebbe un sistema bifronte, con gloriose università secolari da un lato e dall’altro solo una considerevole minoranza ad accedervi, per giunta unicamente grazie agli abbienti genitori. Un paese che vanta poliziotti meravigliosi, a patto che tu non sia un poveraccio di etnia diversa che vive per strada. E anche le parole ad un primo sguardo più positivamente significative, parole come “ambiente” e “risparmio energetico”, perderebbero rapidamente ogni credibilità quando tradotte in motti e slogan politici, riducendosi quasi, insiste l’agguerrito Bennett, a triti e ritriti annunci di una qualche brochure immobiliare: “Un manuale di ipocrisia”.
Come fa notare Michael Henderson ai lettori del Telegraph, la lingua inglese, messa in bocca agli inglesi, è buona a spiegare tanto quanto a ingannare. Grazie alla particolare predisposizione all’ironia, al sarcasmo, all’understatement e al gioco di parole, gli inglesi possono parlare di cose magari indecifrabili per altri popoli. D’altronde, ci sarà pure una ragione se i tedeschi se ne vengono fuori con automobili di qualità, se dai francesi provengono profumi fragranti, se il Colosseo non ha le porte per spirito d’accoglienza ed amichevole ospitalità e se, tra i prodotti inglesi d’esportazione di più successo, vi è James Bond, una spia.
Eppure, anche Bennett è figlio di questa stessa Inghilterra. Dovremmo credergli? Sarà sincero? “How should I? I am English, I am a hypocrite.” (“Come potrei? Sono inglese, sono un ipocrita”).
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