Un quarto posto da mangiarsi le mani. Una medaglia di legno che doveva essere di più per quanto mostrato! Un grande rammarico. Alberto Busnari si sarebbe meritato quell’alloro che ha inseguito per tutta la carriera nel cavallo con maniglie. Il cavaliere di Melzo si è presentato a Londra tirato a lucido, in grandissima forma, pronto per arrivare là dove la sfortuna e diversi problemi fisici non lo avevano mai portato. Riesce a svolgere alla perfezione un esercizio stupendo. Sente bene i suoi appoggi, inizia con una forbice e mezzo giro, un bello stockly a scendere, sempre composto, ordinato e quadrato nelle parti in maniglia, mulinello ben rasente a gambe unite, sfoggia il movimento che porta il suo nome (dal prossimo anno sarà di difficoltà G), poi combinazione in verticale, camminata in thomas per ottenere un decimo in più nel punteggio, e chiude con una buona uscita. In una grande finale. Come mai gli era successo. Gioisce. Va provvisoriamente in testa con 15.400. La sua performance è da 8.8. Non male. Sembra avere la medaglia in tasca. Migliora nettamente il 15.058 in qualifica. Sta sognando ad occhi aperti. A quasi 34 anni è tornato sui grandi livelli che dieci anni fa lo avevano rivelato al Mondo col bronzo europeo, replicato con l’argento due anni dopo. È da podio. Dopo una vita di duri sacrifici e in cui ha raccolto meno di quanto meritasse. Alla sua quarta Olimpiade. Deve solo aspettare.
Devono ancora salire sull’attrezzo i migliori. Tra questi non c’è certamente il britannico Max Whitlock. Un giovanotto di diciannove anni, di belle speranze ma non ancora al top delle proprie potenzialità. La giuria decide inaspettatamente (e oserei dire ingiustamente) di premiarlo in maniera eccessiva. Ha lo stesso punteggio di partenza (6.6) del nostro azzurro, ma la sua esecuzione viene valutata addirittura con un nove sebbene ci fossero delle vistose imperfezioni. Si potrebbe parlare di medaglia soffiata, rubata? Forse. Probabile. C’è il sentore di aver assistito a un’ingiustizia. Ad ogni modo il ragazzo del South Essex si porta a casa il bronzo (15.600) che fa il paio con quello del concorso a squadre in cui la giuria regalò l’argento al Giappone dopo un clamoroso e misterioso ricorso.
Sale sull’attrezzo il mostro sacro della disciplina. L’ungherese Krisztian Berki, campione del Mondo in carica. In qualifica aveva sbagliato qualcosina. Qui è perfetto. Sono picchi inarrivabili per chiunque. Controrotazioni velocissimi, agilità, spinta, preciose, thomas di altissimo livello, fedorchenko perfetto, il movimento magiar che distingue la sua scuola. Nulla da dire. Hosszu (il suo soprannome che in ungherese significa “quello alto”) tocca quota 16.066 e vola verso il metallo più prezioso. L’oro è il giusto premio per questo ventisettenne che arriva al picco della carriera, riesce in una storica doppietta e realizza il sogno che aveva fin dalla tenera età di cinque anni quando mise piede in una palestra. L’argento va all’idolo di casa Louis Smith. Sugli spalti c’è pure Kate Middleton ad applaudirlo. Si sperava in qualcosa di più che gli sfugge per gli scarti millesimali: anche il suo esercizio lo porta a 16.066 (bellissima combinazione di russi da annotare, sempre elegante nelle sue controrotazioni e nelle forbici) , ma il valore della sua esecuzione (9.066) è inferiore a quello di Berki (9.166). Incredibile. Si deve accontentare dopo il bronzo di Pechino. Il miglioramento per Lou Bear c’è e a ventitre anni ha ancora diverse occasioni per raggiungere l’apoteosi.
OA | Stefano Villa