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Ingrao vs. Hessel: indignarsi non basta

Creato il 13 dicembre 2011 da Chiosaluxemburg @ChiosaLuxemburg
Ingrao vs. Hessel: indignarsi non basta
Si può rimanere indifferenti quando a parlare sono due vecchi saggi come Stèphane Hessel e Pietro Ingrao? Io dico di no. Specialmente in un momento come questo in cui la confusione incalza e molti preferiscono strillare, sbraitare, anziché ragionare e reagire con dignità alla crisi. Siamo chiamati tutti a grandi sacrifici che spesso non riusciamo proprio a capire. E’ giusto indignarsi  (altri direbbero “incazzarsi”); l’importante è capire che cosa o chi ci fa indignare. L’incazzato alla Fantozzi è sempre facile preda, o del populista di turno, o del solito profeta mediatico che lo garantirà contro i cosiddetti “poteri forti” (come se esistessero dei poteri “deboli”).
 Io sono dell’idea che prima occorre conoscere bene il nemico, e poi organizzarsi per agire saldi e compatti. Questi due anziani signori ci danno qualche utile spunto di riflessione. Come? Basta acquistare due libricini  di poco più di 60 pagine  e del costo di euro 5 cadauno: “Indignatevi!”, Stèphene Hessel, Add editore (2010);  e “ Indignarsi non basta”, Pietro Ingrao, Aliberti editore (2011).
 Vediamo innanzitutto chi sono i due personaggi in questione.
 Stèphane Hessel: un passato al servizio della resistenza francese, torturato dalla Gestapo e poi internato prima a Buchenwald e poi a Dora, riesce ad evadere per ben due volte in modo rocambolesco. Nel 1946 vince il concorso di entrata al ministero degli esteri ed intraprende la carriera diplomatica. Il suo primo incarico è prestigiosissimo: in veste di segretario di gabinetto di Henri Laugier, segretario aggiunto delle nazioni unite, Hessel sarà fra i membri della commissione incaricata di elaborare quella che diventerà la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Negli anni 80’ aderirà al partito socialista di François Mitterand.
 Pietro Ingrao: aderisce al PCI nel 1940 e partecipa attivamente alla Resistenza partigiana. Ininterrottamente deputato tra il 1948 e il 1992, fu il primo comunista a presiedere la Camera dei deputati dal 1976 al 1979. Tra i massimi oppositori della svolta della Bolognina che portò allo scioglimento del PCI, nel maggio 1993 annunciò l'addio al PDS. In seguito è stato un indipendente vicino al Partito della Rifondazione Comunista .  Alle elezioni europee del 2009 invitava a votare la Lista Anticapitalista.
Hessel e Ingrao: nati rispettivamente nel 1917 e 1915. Possiamo permetterci di non ascoltare cosa hanno da dirci due ultranovantenni che hanno fatto la resistenza e visto le bellezze e le brutture del mondo? No, non ce lo possiamo permettere. Perché? Beh…fra questi due signori e Spider Truman ci sono differenze che saltano agli occhi: innanzitutto esistono. In secondo luogo, hanno qualcosa da dire, non le solite minchiate sulla casta et similia. Se poi vorrete ancora fidarvi dei cialtroni accomodatevi pure.
Il libro di Hessel è un’invocazione continua ai valori della resistenza: “Novantatré anni. La fine non è lontana. Che fortuna poter approfittarne per ricordare ciò che innescò il mio impegno politico: il programma elaborato settant’anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza”. Per Stéphan Hessel, il “motivo di base della Resistenza era l’indignazione”. Dalla resurrezione della resistenza nacque quell’ambizioso programma che prevedeva la sicurezza sociale, la scuola dell’obbligo, una democrazia economica e sociale, la nazionalizzazione delle fonti di energia e dei mezzi di produzione, una stampa “indipendente e libera dallo stato, dalle potenze economiche e influenze straniere”. Ai giovani che dicono:”io che ci posso fare”, Hessel risponde: “ l’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti”; e risponde anche citando Jean Paul Sartre: “voi siete responsabili in quanto individui”, “la responsabilità dell’uomo che non può affidarsi né a un potere né a un Dio ma deve impegnarsi nel nome della propria responsabilità di essere umano”. L’augurio di Hessel è che ognuno abbia sempre un motivo per indignarsi:” quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati”. Ma Hessel capisce che oggi “viviamo in un contesto d’interconnettività senza precedenti…chi comanda? Chi decide?” insomma io credo che Hessel  capisca che oggi il nemico è più subdolo, dunque proporre ad ognuno un motivo diverso per indignarsi, se da una parte risponde alle esigenze di una società frammentata,  da un altro pone il problema di come ottenere un fronte comune, unito ed omogeneo, contro un nemico che è sempre più invisibile e sfuggente. Eppure Hessel dice ai giovani che non trovano motivi per indignarsi: “cercate e troverete”. Hessel da un volto chiaro a quella che oggi si chiama genericamente “indignazione”: a pagina 8, con un sapore un po’ nostalgico che ci ricorda le canzoni di Vian,  la chiama “disobbedienza”. Meravigliosa e dirompente nostalgia!
Ingrao vs. Hessel: indignarsi non basta
La risposta di Ingrao è quella di un uomo cresciuto politicamente nelle file di un partito come il PCI, un monolite scolpito sui dogmi  e modellato sui ripensamenti, ma soprattutto un grande partito che ( piaccia o meno), ha prodotto tanta cultura. Ingrao è uomo che crede ancora nella sintesi politica, nella democrazia rappresentativa, laddove rappresentanza “ non è delega”, e pensa che la responsabilità individuale invocata da Hessel non basti: “ Tutta la storia che io ho vissuto e conosciuto mi insegna questo. Karl Marx, Antonio Gramsci e altri ancora hanno elaborato questo concetto. Non basta l’indignazione. E’ una risposta perfino elementare. Occorre costruire un soggetto politico”. Non per questo Ingrao rifiuta l’idea che la spinta venga sempre dall’indignazione, e ricorda ciò che a vent’anni lo spinse a rifiutare definitivamente i fascismi: l’invasione franchista. La domanda “che faccio io?” lo ha animato allora e continua ad animarlo tutt’ora, ma “indignarsi non basta. Bisogna costruire una relazione condivisa, attiva. Poi la puoi chiamare movimento o partito o in altro modo”. Ingrao avverte il rischio di una “ fluttuazione nei movimenti, una loro esposizione al vento anonimo del mercato”. “la grande, difficile, sfida – insiste Ingrao -  è come tenere insieme la forza e vitalità di un soggetto plurale con la ricchezza e varietà dell’essere umano”. Insomma Ingrao capisce che il declino della forma partito è inarrestabile, cionondimeno non esita a denunciare l’antipolitica, volto deleterio dell’indignazione generalizzata: “ vedo prevalere una critica morale alla degenerazione dei partiti, alla corruzione e all’affarismo del ceto politico. Ne condivido le ragioni e l’asprezza. Ma l’indignazione non dà conto delle modificazioni sostanziali. La mera denuncia, in qualche modo, le occulta”. Per Ingrao “l'indignazione è un sentimento. Viceversa, proporsi di conseguire con efficacia un risultato è la politica”. Senza la lettura del mondo e di un’adeguata pratica politica, l’indignazione, per Ingrao, rimane come la speranza: un sentimento.
Poi c’è il Pietro Ingrao che non ti aspetti, quello che a 95 anni si può permettere anche lo scetticismo: “ se dovessi dare una definizione di me stesso, la prima cosa che direi è la pratica del dubbio”.
Cosa accomuna due uomini così diversi come Hessel e Ingrao a parte l’età? Innanzitutto non si sono mai arricchiti con la politica, e di questi tempi, scusate, ma non è poco. Ma fondamentalmente li accomuna la scelta di dire cose forti e intelligenti senza strillare. Hessel, di padre ebreo, ha parole durissime per la politica israeliana del passato e del presente, e arriva a capire perfettamente il lancio di missili da parte di Hamas; cionondimeno ci dice che il terrorismo è “una forma di esa-sperazione” e che non bisogna “esa-sperare, ma sperare”. Più toccanti ancora trovo le parole di Pietro Ingrao, specialmente in una fase di indignazione e incazzatura cieca che a mio avviso fa comodo al potere:
“ mi riferisco a quella lettura del mondo, che non si dà nel clamore, quasi sempre manifestazione di passività, carenza di pensiero. Al contrario, silenzio non è un nulla, un’assenza. Pensare è interiorità. Il silenzio è sempre più avanti. Taci, ma compi l’atto del tacere. Essere silenzioso è un agire e, dunque, nel silenzio ci si esprime”.

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